il Labirinto del fauno

Persi nel labirinto “del Toro”
di Paola Galgani

 
  el Laberinto del fauno, Messico / Spagna, 2006
di Guillermo del Toro, con Ivana Baquero, Ariadna Gil, Sergi Lòpez, Doug Jones, Maribel Verdù


il Labirinto del Fauno, che rappresenterà il Messico alle prossime nomination all’Oscar nella categoria di miglior film straniero, è stato anche presentato a Cannes, coraggiosamente, dati i pregiudizi verso un genere come il fantasy. In realtà non si può inscrivere precisamente la pellicola a questo genere dato che, come ha dichiarato lo stesso regista, si tratta di “un film drammatico con l’aggiunta di fiabe e di elementi mitologici”. Il film, come il precedente Hellboy, intreccia l’ambientazione fantastica a quella realistica - la Spagna del 1944 - e fa parte di una trilogia tutta ambientata in Spagna ma in periodi diversi: la ghost-story la Spina del diavolo rappresentava la guerra civile spagnola, mentre 3993, ancora in lavorazione, sarà ambientato nel 1990. L’evidente attrattiva che il franchismo suscita nei confronti dell’autore è spiegata dallo stesso sia per il fatto che il suo paese, il Messico, è stato l’unico a sostenere il movimento di ribellione contro Franco, sia perché lui vede ancor oggi una forma di fascismo dietro certi atteggiamenti di “perversione dell’innocenza e dell’infanzia” che portano alla ”morte dell’anima”.
Questa la storia “che solleva interrogativi universali che riguardano tutti noi”: la Spagna franchista non porta niente di buono alla piccola Ofelia, ragazzina appassionata di libri che parlano di fate e di mondi magici. La sua mamma, infatti, dopo aver perso il marito, ha ritenuto opportuno sposarsi ed concepire un figlio con il di lui capo, Vidal, crudele capitano dell’esercito franchista alle prese con un gruppo di ribelli rivoluzionari. Mamma e figlia, mettendo a rischio la difficile gravidanza, si trasferiscono dunque nella sede di Vidal, su una collina avamposto della guerra civile. Ben presto però la sensibile bimba si rende conto che il patrigno non ama né lei né la mamma, ma nutre solo un ossessivo trasporto verso il nascituro, suo unico erede che merita di venire al mondo anche a scapito della salute della madre. A quel punto Ofelia, già allertata lungo il cammino da una fata sotto le spoglie di mantide religiosa, trova conforto in un mondo magico nelle profondità del bosco, in cui le fa da guida un Fauno, che le promette ritorno al regno incantato di cui è principessa a condizione di superare tre dure prove…..
L’idea del film, che Del Toro aveva in mente da vari anni, nasce dalla metafora, abbastanza scontata, nazisti=mostri (anzi, peggio dei mostri), che comunque poteva portare ad un risultato più suggestivo. Purtroppo la pecca maggiore è nella sceneggiatura, che alterna in modo poco integrato la cruda realtà della guerra alle fantasie in cui, per sottrarsene, la bambina si rifugia. La partenza è buona, quando assistiamo al processo per cui Ofelia, novella Alice nel paese delle meraviglie, inizia ad immaginare la fata che la condurrà nel labirinto del Fauno. Una volta avviata la storia, però, appare chiaro che la realtà, peraltro non originalissima e che di per sé non avrebbe la forza necessaria per esistere, viene raccontata in modo molto più fluido e coerente rispetto alla parte fantastica. I personaggi reali, di cui comunque alcune azioni non sono giustificate, non risultano abbastanza sviluppati né appassionanti, e forse quello più interessante è la furba serva-spia, mentre la madre risulta piuttosto scialba ed il capitano prevedibilmente feroce. Ofelia fa il suo dovere di “Alice” senza grandi sorprese, e semmai il lato più interessante è nel tenero rapporto di amicizia madre-figlia. La giovane Ivana Baquero se la cava discretamente, ma è il più convincente del cast è sicuramente Sergi Lòpez, che si adatta impeccabilmente al suo ruolo di odioso ufficiale sadico, senza sfumature e senza speranze. Il ritmo a momenti è buono, in altri si blocca, soprattutto quando le premesse narrative non vengono portante avanti. Le potenzialità, insomma, insite nel meccanismo del mondo immaginario infantile che prevarica quello reale, non raggiungono i livelli di un Donnie Darko, anche se sicuramente l’autore credeva molto in questo progetto, tanto da definirlo il film suo più riuscito.
In quanto alla storia fantastica, ci sono innumerevoli incongruenze, e le tre prove “eraclee” cui deve sottostare Ofelia, soprattutto l’ultima, non assumono il rilievo che meriterebbero. Anche per i personaggi del mondo sotterraneo si perde un’occasione; perché se la fata-Campanellino, inizialmente promettente, si riduce a muta messaggera del Fauno; il Fauno stesso, che nella sua ambiguità lascia sperare risvolti inattesi, non regala infine niente di nuovo. L’aspetto migliore della parte fantasy è quello visivo, un surreale "dark" alla Tim Burton che richiama i mostri schizzati da bambini (ed è in tal modo che sono stati concepiti dalla vena nera dell’autore). Rinunciando ai freddi effetti digitali, si è preferito scegliere il make-up e l’animatronic di cui si è occupato David Marti, che già aveva lavorato ad Hellboy e la Spina del diavolo. E’ nato così un bestiario inquietante che comprende il mutevole Fauno, il disgustoso rospo gigante, la mandragola-feto e l’originale e surreale Uomo-Pallido, un orribile mostro albino i cui occhietti sono incastonati nei palmi, che deve accostare alle tempie per poter vedere (l’attore Doug Jones, già Abe Sapiens in Hellboy, con notevole capacità mimica si presta ad entrambi i ruoli). Ad ispirare le belle scenografie di Eugenio Caballero sono stati artisti come Goya (in particolare, i suoi "dipinti neri"), Bacon e, per ammissione di Del Toro, Arthur Rackham, uno degli illustratori di "Alice nel paese delle meraviglie", romanzo i cui richiami visivi sono espliciti e forti: il vestitino e le scarpette di Ofelia, la botola, le chiavi. Una fotografia elegante, con il contrasto tra il buio sotterraneo e la luce del bosco, ed una colonna sonora adeguata esaltano efficacemente un gusto gotico con incursioni horror, che rimane però, a conti fatti, un po’ fine a se stesso.