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Cidade de deus, Bra / Fra / USA, 2002 di Fernando Meirelles e Kátia Lund, con Alexandre Rodrigues, Leandro Firmino da Hora, Douglas Silva, Seu Jorge, Matheus Nachtergaele, Philippe Haagensen, Jonathan Haagensen, Alice Braga. Le favelas brasiliane sono ormai quasi un luogo comune nell'immaginario collettivo. Simbolo di un disagio sociale ed economico che sintetizza la sproporzione insanabile fra paesi ricchi e paesi poveri, sono considerate ormai proprio da quell'immaginario collettivo uno spietato dato di fatto, quasi un cliché. La forza espressiva di City of God è nel riportare la realtà di questi simboli con tutta la sua disperazione e violenza dirompente all'interno dello spettacolo cinematografico. Un film che racconta la favela più povera e più distante dal Brasile "vivibile", la città di Dio, senza alcuna distanza moralistica o politicamente corretta, con la nitidezza di un documentario e la capacità di coinvolgimento del racconto cinematografico corale a struttura narrativa forte. In altre parole, facendone un film di intrattenimento che non tradisce mai la crudezza della realtà raccontata, mantenendo sempre il coraggio di essere diretto e, a volte, cinico. Questo però non comporta una mancanza di misura nella messa in scena: se la violenza è spesso rappresentata esplicitamente, Fernando Meirelles e Kátia Lund mantengono a volte un pudore tragico, come nella scena dello stupro non mostrato esplicitamente, che risulta, col suo generare un episodio visivamente "mancato", anche più intenso ed evocativo di quanto sarebbe stato il mostrare ogni dettaglio dell'atto. Questo è lo stesso discorso estetico che guida occasioni in cui la tensione non è dettata dalla violenza, ma dall'ironia, generata da situazioni di vita in cui chiunque può ritrovarsi. Come la sequenza in cui Buscapé fallisce il suo adolescenziale gioco di seduzione con la bellissima Angelica: interrotti dal nugolo di meninos de rua potenzialmente pericolosi, ma in realtà in cerca solamente di un po' di marijuana, i due ragazzi "mancano" la loro prima esperienza sessuale. La tensione erotica e l'aspettativa di Buscapé vengono sciolte con un realismo semplice e credibile, contraltare ironico e leggero della messa in scena diretta e cinica che documenta la realtà delle favelas. Da questa scena proviene anche una delle immagini della locandina italiana del film: Buscapé e Angelica di spalle, seduti uno accanto all'altra sulla riva del mare. Quasi una promessa di esotismo, privato però della patina di finzione da agenzia turistica dal forte contrasto della luce. Sintesi sottile ed esatta di tutto il discorso sulla messa in scena di Mereilles e Lund, in bilico fra la cruda "docufiction" e scelte meno esplicite mosse da un sincero pathos tragico, affettuoso ed ironico. L'ironia, il grottesco e il tragicomico sono il modo in cui Mereilles e Lund affrontano tutto il discorso sulla criminalità, mettendo bene a fuoco la pericolosità della vita fuori legge ma contemporaneamente sbeffeggiandone i rischi e le difficoltà, soprattutto attraverso i tentativi di Buscapé di entrare a far parte di quel mondo. "Flirtando con il crimine" è il titolo di uno dei capitoli del film, e Buscapé sembra proprio applicare le sue goffe tecniche di seduzione anche in questo campo, generando una serie di fallimenti esilaranti mentre tenta di diventare un rapinatore senza averne le doti. La messa in scena di Meirelles e Lund è stata accostata, per scelte di racconto o per stile, a Martin Scorsese e in particolare a quel GoodFellas che ha una modalità narrativa simile a quella di City of God: un personaggio che non è il protagonista, ma la voce della comunità rappresentata dal film, film che risulta uno sforzo corale equanime nella presentazione di ogni personaggio. Ma l'avvicinamento al regista di New York è un'operazione riduttiva. Non fosse altro per il fatto che Mereilles e Lund possiedono anche una capacità di sintesi e una visionarietà temporale di stampo leoniano, portando a termine felicemente un racconto che copre venti anni della vita di una comunità con un lunghissimo flashback che chiude la storia in una circolarità narrativa che, ancora una volta, ha la necessità del documentario e l'efficacia della fiction. Ma Meirelles e Lund sono anche modernissimi nel taglio delle inquadrature, nel montaggio, nel senso del ritmo completamente calato nel presente, tanto che City of God ha una patina visiva che si avvicina molto a quella di un video clip, di cui ha la sintesi e capacità comunicativa. Ma non i tempi di gestazione: pare che il film abbia chiesto cinque anni di preparazione, e i titoli di testa ci mostrano due cartelli pieni di nomi di finanziatori (circa una decina), indicati come partner produttivi del ministero della cultura brasiliano. Il connubio di tragedia e ironia del film di Meirelles e Lund contiene in se un'osservazione fondamentale sull'essenza della condizione dei suoi personaggi e dei suoi luoghi. Il cinico sarcasmo di cui è stato capace chi ha battezzato la più antica, peggiore e più disperata favela brasiliana "Città di Dio", viene comunque superato dall'inevitabile vitalità, espressa in modi distruttivi (le bande e la droga) o creativi (le fotografie di Buscapé) che esplode in quello che è a tutti gli effetti un inferno. Un inferno che è distante dalla nostra vita di tutti i giorni solo perché lì la condizione sociale degli abitanti è talmente scarnificata da portare alla luce, fisicamente e in modo esplosivo, le contraddizioni che sono all'origine di qualsiasi altra ordinata e civile "città di Dio" della parte ricca del mondo. |