|
La forma del suicidio come termometro
della contemporaneità: lassunto da cui prende le mosse
lagghiacciante operazione condotta di Eric Steel, considerato
isolatamente, può essere interpretato come un coraggioso presupposto
per analizzare la disperazione e la solitudine che lOccidente
soffre al giorno doggi in ogni sua parte. Peccato che oltre allintenzione
manchi la forma, al documentario del regista americano. Grandi monumenti
e luoghi noti vengono utilizzati da aspiranti suicidi per mettere in
scena la propria morte - una cosa che accadeva anche nel passato, che
il sito (di dubbio gusto) Il ponte dei suicidi ci ricorda,
pur senza approfondire con dovizia di particolari i cenni storici che
si limita ad abbozzare (un esempio per tutti, i 300 morti gettatisi
nei suoi 130 anni di storia dalla Tour Eiffel). The Bridge
è stato realizzato grazie ad un maniacale pedinamento, 24 ore
su 24, di 40 esseri umani che, nel corso del 2004, si sono suicidati
gettandosi dal ponte di San Francisco. Utilizzando diverse mdp, piazzate
in punti strategici alla base del ponte, da cui poter seguire i movimenti
degli aspiranti suicidi, i realizzatori hanno raccolto migliaia di ore
di girato, quindi si sono trasferiti dalle famiglie dei morti, sempre
armati di mdp, per cercare di chiarire le motivazioni del folle gesto
e catturare lacrime e commozione dei parenti.
Soprassedendo sul morboso approccio alla materia, o al contrario sulla
forma cinema che in alcuni casi riesce a far partecipare lo spettatore
al film, quello che più lascia sgomenti è il riflettere
sulle condizioni produttive che il film ha dovuto (o meglio voluto)
affrontare: assistere sadicamente agli ultimi minuti di vita dei suicidi,
con locchio dietro lobiettivo, senza avere listinto
di intervenire, spegnere la mdp, soprassedere sul sadismo che loperazione,
quando appare sullo schermo, non può fare a meno di comunicare
allo spettatore. Che si tratti di un sadismo della visione utile a farci
capire chi siamo, in misura anche maggiore rispetto alle tendenze suicide
della nostra società, è un dato su cui è necessario
riflettere ulteriormente: limmagine si è talmente impadronita
del nostro desiderio, è arrivata a tal punto a decidere della
nostra libido, che ci ha resi incapaci di distinguere la portata della
realtà che si trova oltre lotturatore rispetto ai pixel
(o alla luce) contenuta nella macchina da presa. Se il filtro attraverso
cui possiamo scoprire la realtà è quello di uno spettacolo
di morte al lavoro (cosa che limmagine comporta sempre, ed è
inutile soffermarsi su questo concetto noto), come è possibile
non vivere un momento di lucidità e riconoscere quanto questo
voyeurismo si sia trasformato in una misera pulsione di morte, solamente
visiva e neanche più fisica (alla faccia di Freud)? Mentre la
realtà (o presunta tale) è entrata nelle nostre case e
ha monopolizzato la nostra pulsione scopica, parallelamente il desiderio
di assistere alla morte in diretta è divenuto componente
essenziale dello show system, che quando si limita ad essere informazione
tragica da tg (per quanto sempre e comunque filtrata ed addolcita) mantiene
un senso, che quando viene reinterpretata per faci comprendere la violenza
degli Stati Uniti (come in Bowling a
Columbine assurge allo status di necessità, ma che quando
non destruttura la sua forma al limite, fintamente afflitta, coperta
di perbenismo e disperazione a buon mercato, non può evitare
di mostrare la propria disonesta e saccente posizione reazionaria, collusa
con quel sistema della disperazione e dello sciacallaggio mediatico
che vorrebbe al contrario, almeno nelle intenzione di base, cercare
di attaccare.
|