Black book

Caino e Caino
di Ilario Pieri

 
  Zwartboek, Olanda / Belgio / Gb / Germania, 2006
di Paul Verhoeven, con Carice Van Houten, Sebastian Koch, Thom Hoffman, Halina Rejin, Waldemar Kobus


Paul Verhoeven è, senza ombra di dubbio, un personaggio unico nel suo genere: leggende lo ritraggono come un despota sul set mentre dichiarazioni ufficiali ne esaltano il tratto generoso e disponibile nei confronti degli attori verso i quali ripone fiducia, fino a sporcarsi le mani in caso di bisogno; dalla terra dei tulipani alla mecca del cinema lo stile è all’insegna del gusto della provocazione, della polemica e dell’acuta - purtroppo non sempre comprensibile - ironia. Cronache dell’ultima ora lo vedrebbero indaffarato nella preparazione di un libro su Gesù Cristo che potrebbe anche tramutarsi in un film (ovvero, quante Passioni dovrà patire ancora il povero nazareno?). Il curriculum parla da solo, ma dal punto di vista squisitamente artistico il cineasta olandese, con coraggio, ha tentato di attraversare tutti i generi più apprezzati: si ricordi l’immersione nella fantascienza depredando le opere di autori quali Philip K. Dick e Robert Heinlein, o ancora i vari saggi sul voyeurismo di marca hitchcockiana con Basic Instict, e l’inconcludente Showgirls. Alcune delle pellicole più riuscite risalgono però al periodo europeo, quello folgorante degli inizi a cavallo fra piccolo e grande schermo, fino all’agognato successo fuori dalle mura amiche. Uno di questi lavori, Soldato d’Orange evidenziava il lato "eroico" della guerra in netto contrasto con lo sguardo "realistico" mostrato oggi. Dichiara: “la violenza fa semplicemente parte della natura umana, in fondo anche noi siamo un po’ come delle scimmie selvagge”. Uno scontro fra Caino e Caino dunque, dove non esistono buoni e cattivi bensì uomini soggetti a debolezze ed errori. Black Book insignito di diversi premi è stato tacciato di revisionismo politico, anche se il regista considera il risultato frutto di un serie di esperienze ventennali di ricerca..al pubblico l’ardua sentenza. La pellicola si presenta molto interessante per svariate ragioni: la scelta del cast, fra tutti il ritorno di Hans Akkermans (Il quarto uomo) e l’inedita bellezza di Carice Van Houten nei panni della protagonista: raramente la Settima arte ricorda una eroina nel filone bellico e Rachel non è la classica icona verhoeviana opportunista e manipolatrice come invece appare la dattilografa Ronnie (Halina Reijin). Le diverse strizzate d’occhio al cinema (la donna è descritta con una chioma bionda stile Jean Harlow e un look non dissimile dalla Greta Garbo di Mata Hari); il desiderio di essere coerente apponendo l’inconfondibile firma in molte sequenze: azione, intrighi con passi da melodramma e spy story si accompagnano a scene truculente laddove l’autore non rinuncia ad esibire fiori di carne e sangue. Non per ultimo, la durata: i centotrentacinque minuti scorrono senza pause eccessive in un turbinio di azione, passione e morte.