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Basic instinct 2

Dal punteruolo alla cintura
di Adriano Ercolani

 
  Id., Gb/Usa, 2006
di Michael Caton-Jones, con Sharon Stone, David Morissey, David Thewlis, Charlotte Rampling


Il lavoro maggiormente deprimente, quando si tratta di critica cinematografica, è nella maggior parte dei casi quello di dover scrivere di una pellicola che non ti è piaciuta; la questione si dirige spesso verso il confine della frustrazione quando un brutto film non possiede neppure degli elementi su cui poter costruire un discorso critico compatto e coerente; chi scrive si trova così nell’imbarazzante difficoltà di doversi arrampicare sugli specchi, non riuscendo ad arrivare ad una recensione che lo soddisfi più a causa dei demeriti dell’opera analizzata che per propria incapacità letteraria.
Essendo ormai abbastanza scaltro da prevedere questo tipo di rischi, ed anche abbastanza sfacciato da confessare esplicitamente la mia volontà di evitarli (chiamatela pure pigrizia se preferite…), preferisco raccontare a voi lettori questo insulso Basic Instinct 2 racchiudendolo in una serie di considerazioni tra loro slegate, piuttosto che impelagarmi in un discorso senza capo né coda in cui non riuscirei a far altro che annoiarvi. Credetemi sulla parola: per un tale lungometraggio non ne vale davvero la pena…

Anacronismo
In un certo senso Basic Instinct arrivava a chiudere un determinato periodo di cinema americano, quello patinato e “fluorescente” che aveva visto la sua massima espressione nella seconda metà degli anni ’80 – vedi ad esempio le migliori opere di Adrian Lyne, oppure i film “minori” di Ridley Scott e del fratello Tony. Se la violenza ed il sesso semi-esplicito del film di Verhoeven vengono inquadrati in quest’ottica di esplosione ultima del senso e dell’estetica degli anni immediatamente precedenti, ci accorgiamo piuttosto facilmente come quel film fosse coerente e pienamente inserito in quel momento di cinema. Quattordici anni dopo, un seguito che ne scimmiotta superficialmente le connotazioni visive più sputtanate non ha davvero nessun senso, soprattutto quando il cinema americano ha del tutto cambiato pelle. La lussuria di ambienti, scenografie e costumi, illuminati da Gyula Pados come se fossero gli scarti del precedente lungometraggio rimasti sul pavimento accanto alla moviola, lasciano chi guarda quantomeno interdetto: se volevamo gustarci un enorme spot di qualche spumante tanto valeva restarcene in a casa in poltrona ad aspettare la pubblicità! Vi ricordate il culetto della Theron che si dimenava per la Martini? Quello in confronto si che era eros patinato…

La città perduta
Continuiamo a parlare del setting: Basic Instinct 2 è ambientato a Londra, ma lo si capisce dopo un’ora e mezza di proiezione, quando l’ispettore David Thewlis (un grande attore che continua a buttarsi via!) scende da un’automobile uscendo “all’inglese”, e cioè a destra della vettura. Per tutto il resto del film, la volontà di connotare il meno possibile il prodotto ad una cultura ed una precisa area geografica –e renderlo quindi il più possibile “commerciabile” per il mercato Usa? - ha talmente spersonalizzato l’ambientazione da renderla un’accozzaglia sospesa di architettura arida e deprimente. Perché allora girare il film a Londra se poi si ha la chiara intenzione di nasconderla? Il risultato è un guazzabuglio confuso di grattacieli, visioni notturne al neon, locali e discoteche come ce ne sono probabilmente in ogni città americana. Non potevano girarlo direttamente negli States? Che forse hanno tolto alla bella Sharon la cittadinanza per raggiunto limite di orgasmi simulati?

Il sesso ed il rischio
E veniamo alla parte più scottante e deludente della questione: dov’è lo scandalo tanto strombazzato? Dove la folgorante celebrazione del binomio eros/tanatos? Sharon Stone mantiene intatto un magnetismo fuori dal comune, ma a forza di frasi trite, smorfie e sculettate da gattona alla fine scivola nel ridicolo, anche a causa di un vestiario tanto inappropriato quanto poco accattivante: la raggiunta maturità della diva avrebbe meritato ben altra attenzione e sviluppo erotico, invece che il bieco travestimento da ventenne alla moda. A parte questo, Basic Instinct 2 è “bollente” quanto una camomilla: non c’è nessuna tensione sessuale tra i personaggi, e ciò e dovuto soprattutto al fatto che per lasciare campo libero alla star Stone le hanno affiancato un co-protagonista che è completamente bollito. Ma se David Morissey è incerto come amante della focosa Tramell, nelle vesti di analista raggiunge vette che sanno di patetico…

Ridateci Eszterhas!
Mai avrei pensato di rimpiangere uno degli sceneggiatori più sopravvalutati della storia di Hollywood. Ma almeno il buon John aveva scritto un primo episodio in cui i ruoli erano “forti”, e garantivano agli attori delle battute che non avrebbero fatto scoppiare il pubblico in grasse risate, come probabilmente avverrà con questo secondo appuntamento. Lo script di Larry Barish ed Henry Bean – autore peraltro dell’interessantissimo the Believer – frana invece sotto ogni punto di vista. Illogico, incredibile, sconclusionato negli eventi e soprattutto nelle psicologie, il testo fornisce soltanto un lungo, interminabile e logorroico abuso di parole. Azione neanche a parlarne…

Dal punteruolo alla cintura
Ma non è possibile! Stavolta la psico-ninfo-lettero Tramell dovrebbe ammazzare i suoi amanti strozzandoli con cinte firmate Gucci o Versace!!! Perché non hanno scelto di far morire gli aitanti e forzuti maschietti soffocati dalle sue mutande di pizzo (tanto non le tiene mai adosso…)? Come fa ad essere credibile una simile rivisitazione di “Dark Lady”? All’inizio del film viene tanto strombazzata la sua “dipendenza da rischio”: alla fine di Basic Instinct 2 la Stone sembra ostentare solo una seria dipendenza da tabacco. Magari nel terzo episodio li farà schiattare a colpi di anelli di fumo…