la 25° ora
Elegia a volti e persone
di Adriano Ercolani


Frame-stop: Spike Lee
  The 25th Hour, Usa, 2002
di Spike Lee; con Edward Norton, Rosario Dawson, Philip Seymour Hoffman, Barry Pepper, Brian Cox

Montgomery (Monty) Brogan è un bravo ragazzo. Ha una vita tranquilla, una fidanzata stupenda che lo ama, degli amici sinceri che lo stimano e gli vogliono bene; ha una bella casa ed un padre affettuoso, una macchina sportiva ed un cane che ha salvato da una brutta fine. Insomma, Monty ha tutto quello che desidera, ma sta per perderlo definitivamente: quando uscirà di prigione, sicuramente nulla sarà come prima. Già, perché Monty è uno spacciatore, e qualcuno lo ha tradito: lo hanno beccato con la roba nascosta nel costoso sofà, ed adesso si deve fare sette anni di galera, esperienza per cui non è assolutamente pronto. Si, perché Monty è e rimane un bravo ragazzo, spaventato ed angosciato dalla certezza di stare per perdere tutto quello che possiede e tutte le persone che ama. Spaventato dal dover affrontare un mondo dove l’odio e la violenza regolano l’agire umano, fattore che lui non ha mai preso in considerazione e non è preparato ad affrontare.
Spike Lee racconta l’ultimo giorno di libertà di Montogomery Brogan (un grandioso Edward Norton, che riesce a trasmettere allo spettatore tutta la complessa ambiguità del suo personaggio), e per farlo sceglie di cambiare radicalmente stile narrativo ed estetico: rispetto alle sue opere più graffianti e problematiche, improntate tutte sul senso di straniamento provocato dall’opera sullo spettatore, ottenuto soprattutto attraverso ritmi di racconto sincopati ed un impianto visivo sempre “acido”, questa volta l’autore di Fa’ la Cosa Giusta (Do the Right Thing, 1989) opta per un melodramma di stilizzata eleganza; il fluire della narrazione, sia drammatica che visiva, si fa’ suadente e malinconico, concedendo (e concedendosi) molto all’introspezione di tutti i personaggi, non soltanto di quello principale. Costruito come un’opera con un centro catalizzatore, La 25° Ora si rivela invece un affresco denso e corale, in cui la personalità di ogni figura messa in scena viene delineata con precisione; ed ecco allora che attorno a Monty non si stringono persone schematiche e retoriche, ma veri e propri amici, che non esitano a giudicarlo ma anche a provare dolore e pietà per lui. La sceneggiatura del film riesce pienamente nel difficile intento di mantenere allo stesso tempo un ritmo narrativo cadenzato e vivace e delineare al meglio le personalità che mette in scena. Dal canto suo, Spike Lee si concede una volta tanto una regia morbida e dolorosa, ispirata nel suo voler affascinare lo spettatore. Anche nei momenti più specificamente corrosivi, come lo straordinario monologo di un Norton rabbioso di fronte allo specchio del bagno, la macchina da presa non assale l’immagine, ma lascia che questa stessa riesca a cullare sia chi guarda che chi viene guardato. All’interno della filmografia dell’autore La 25° Ora si pone perciò come opera a suo modo estrema, radicale nella forma e nella metodologia di racconto: al solito rap metropolitano si è sostituita la melodia intensa di Terence Blanchard, al montaggio serrato si è sostituita il fluire preciso e melodioso dell’immagine; l’elegante fotografia del bravissimo Rodrigo Prieto - suoi anche 8 Mile (id., 2002) e Amores Perros (id., 2000) - dipinge con gelido calore una New York dall’attentato alle Twin Towers, ed immerge interni ed esterni in una compattezza cromatica di grande effetto, con una dominante blu che rende gli ambienti più mesti ed insieme stilizzati. Già in opere pienamente riuscite come Mo’ Better Blues (id., 1990) e He Got Game (id., 1998) Lee aveva dato prova di saper gestire anche un tipo di pellicola più improntata ad una classicità sia narrativa che estetica: mai fino ad ora però i risultati di questo tentativo erano stati così pieni, fluidi, coinvolgenti. Struggente, cadenzato, armonicamente calibrato tra pause introspettive e snodi drammatici, La 25° Ora è una pellicola che si muove in crescendo emotivo e stilistico fino a giungere ad un finale che lascia senza fiato, che riesce ad emozionare per la sua semplicità e la sua forza. Non soltanto per chi ama Spike Lee (qui probabilmente ad una svolta importante per la sua carriera cinematografica), ma per chi ama il cinema denso, corposo e fascinatore, questo film non può essere perso.