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id., Messico, 1999
di Alejandro Gonzales Inarritu, con Emilio Echevarría,
Gabriel García Bernal, Goya Toledo, Alvaro Guerrero, Vanessa
Bauche, Jorge Salinas, Rodrigo Murray
Sai cosa diceva mia nonna? Se vuoi far ridere il buon Dio, raccontagli
i tuoi progetti.
(Susana a Octavio)
Con la barba tagliata e gli abiti puliti, rimane qualcosa di irreparabile
nel viso di El Chivo, forse la pelle segnata, forse gli occhiali tenuti
su con lo scotch. Il rituale della fototessera, per la redenzione da
un passato impossibile da capovolgere, è la fragile ricerca di
un'immagine di sé ormai in frantumi. Irreparabile è la
morte di Ramiro e l'abisso che scava tra Octavio e Susana; irreparabile,
per Valeria, è la perdita delle gambe. E l'incidente d'auto che
allaccia le tre storie in un unico, violentissimo istante, condensa
questa sensazione di una lacerazione irreversibile. Ogni perdita è
definitiva ed è l'unica necessità esistente.
Gli amori
Octavio e Susana, Daniel e Valeria, El Chivo e Maru: tre storie
d'amore declinate lungo percorsi diversi e con uno stile capace di oscillare
da un pedinamento accaldato al distacco con cui si compone la geometrica
metafora del secondo episodio. Anche l'appartenenza sociale spazia dalla
povertà disperata in cui annegano Octavio e Susana al mondo dorato
di Daniel e Valeria, con El Chivo a fare da anello di congiunzione,
ex-borghese ed ex-terrorista, ora barbone e sicario. Ma a unire le diverse
storie è la presenza costante ed ossessiva del denaro, che non
esprime semplicemente il funzionamento dei meccanismi sociali sulla
base di potere e avidità, ma si insinua nella vita dei protagonisti
fino a pretendere di legittimarne il sentimento: Octavio vuole dimostrare
il proprio amore a Susana accumulando soldi con le scommesse clandestine,
ma la fuga prevista Susana la intraprenderà con il marito; Daniel
compra a Valeria una casa nuova dove vivere finalmente insieme, non
sapendo che si trasformerà presto in una trappola senza uscita
per entrambi; El Chivo, una volta redento, lascia alla figlia, insieme
allo straziante messaggio telefonico, del denaro nascosto sotto il cuscino,
malgrado questa non sembri averne bisogno. È come se il gesto
amoroso prenda corpo innanzitutto nell'offerta di denaro, in modo assolutamente
ingenuo ma finendo per generare una sorta di sfasatura che ne comporta
il tradimento e il fraintendimento. Anche perché gli "amori
cani" di Inarritu e del suo sceneggiatore Guillermo Arriaga sono
soprattutto amori sinceri. E per questo massimalisti, squilibrati, eccedenti
la misura quotidiana e, naturalmente, destinati al fallimento. È
come se il loro senso ultimo si ritrovi solo nella perdita, in uno slancio
che cade nel vuoto e che può unicamente trasformarsi in assolo
disperato: così come l'identità sociale, anche quella
affettiva si può dare solo "a togliere" e quindi non
attraverso la coesione ma attraverso la lotta e la progressiva spoliazione.
Esemplare quindi il ruolo svolto nel film dalle fotografie, istanti
sottratti al tempo e a questa terribile erosione dei corpi e degli animi:
Valeria, inchiodata sulla sedia a rotelle, guarda smontare il manifesto
pubblicitario di cui era protagonista; El Chivo tenta di ricostruire
e fotografare il proprio volto per ritrovare l'identità sociale
ed esistenziale del padre di famiglia, ma il suo è un esorcismo,
un rito fittizio che non può riesumare un passato e cancellargli
i segni dal volto; il portafoglio di Octavio, finito nelle mani di El
Chivo dopo l'incidente, rivela le foto di famiglia: lui con Cofi, lui
con Ramiro. Ma Ramiro morirà nella sequenza successiva, Cofi
ci andato vicino, Octavio stesso è salvo per miracolo. Il tempo
scava intorno ai personaggi, scava la loro carne e il loro spirito privandoli
di qualsiasi appiglio dentro e fuori di sé.
I cani
Cofi cambia padrone e cambia anche nome, ribattezzato Nero in una delle
ultime battute del film; Ritchie non è quasi mai in scena, finito
sotto il basamento della nuova casa di Valeria e Daniel e destinato
a vagare per l'intero episodio imprigionato nel parquet. La storia dei
cani, in Amores Perros, scorre parallela a quella dei protagonisti,
una storia di corpi martoriati e abbandoni improvvisi. Il calvario di
Valeria è quello del suo Yorkshire, in quanto entrambi condannati
per un puro evento fortuito all'immobilità, all'oscuramento (il
cane diventa invisibile come lo diventa lentamente l'immagine di Valeria)
e alla prigionia della casa appena comprata ma già maledetta,
in quanto luogo di una convivenza impossibile, di un amore già
subito incapace di affrontare una qualsiasi difficoltà.
Cofi, da cane pacifico e inerme diventa uno spietato combattente, soccombendo
alla logica feroce delle scommesse clandestine: il combattimento dei
cani è l'immagine più cruda e calzante di un conflitto
sociale che si estende dalle classi più povere a quelle più
ricche, dai fratelli Octavio e Ramiro ai due fratelli manager sequestrati
da El Chivo, e da questo poi lasciati a sbranarsi tra loro. Quando Cofi
si prende una pallottola e viene ritrovato da El Chivo nell'auto di
Octavio dopo l'incidente, inizia anche per lui una sorta di convalescenza-redenzione:
i cani di El Chivo vivono con il loro padrone in una "comune"
canina, sottratti al meccanismo capitalista lotta-denaro-morte come
un tempo aveva scelto di fare l'uomo con se stesso.
Ma Cofi come El Chivo ha contratto ormai un'aggressività che
lo spinge uccidere i compagni, dal primo all'ultimo, tradendo il padrone
che lo ha accolto e curato. È proprio questo evento, tuttavia,
a produrre nel Chivo la consapevolezza di sé e la decisione di
non uccidere più, non ovviamente per ritornare a una condizione
originaria ma per abbandonarsi all'ennesima perdita di un ruolo, a diventare
ex-padre, ex-brigatista, ex-sicario-barbone. L'unico presente e futuro
possibili sono una terra oscura e devastata verso cui incamminarsi,
con Cofi al seguito ribattezzato Nero, accettando fino in fondo il proprio
stato di uomo "a perdere", senza progetti né possibilità
di costruire un'identità umana e affettiva. La vita gli ha tolto
tutto, ma come recita la didascalia finale, a sancire l'unico spiraglio
in tale spietata logica esistenziale, siamo anche quello che perdiamo.
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