Leonardo Di Caprio

Battiti, Leo, battiti…
di Adriano Ercolani

 
 
Quali sono i criteri per giudicare la grandezza di un attore? In verità ce en sono molti: il numero delle sue interpretazioni riuscite, il consenso della critica, i premi vinti e non ultimo l’affetto del pubblico. Un criterio che secondo noi risulta essere forse il più efficace e che troppo spesso viene sottovalutato è il numero di grandi registi con cui un determinato attore lavora nel corso della sua carriera. A conti fatti, ci accorgiamo che tutti i maggiori caratteristi che hanno segnato il nostro immaginario cinefilo sono stati prima o poi diretti dai più grandi maestri. Ancora non arrivato neppure alla soglia dei trent’anni, Leonardo Di Caprio può annoverare già di aver lavorato con nomi del calibro di James Cameron, Steven Spielberg e Martin Scorsese, con cui si appresta a iniziare le riprese di un nuovo lungometraggio, The Aviator (la biografia di Howard Hughes).
Che il giovane Leonardo, idolo delle ragazzine di mezzo mondo ben prima del successo di Titanic (id., 1997), avesse la stoffa dell’attore di razza, lo avevamo già intuito: fin dalle sue prime apparizioni sul grande schermo ne erano state apprezzate sia la bravura di interprete che l’anticonformista predilezione per ruoli difficili, “scomodi”, che potessero esaltare più le sue doti di caratterista che la sua femminea bellezza. Pensiamo ad esempio a Buon compleanno, Mr. Grape (What’s eating Gilbert Grape, 1993), in cui recita la parte del fratellino minorato di Johnny Depp, diretti entrambi da Lasse Hallstrom in uno dei suoi migliori lungometraggi americani. Oppure lo ricordiamo nell’intenso ma squilibrato Poeti dall’inferno (Total Eclypse, 1995), in cui recita il ruolo sicuramente non semplice di Arthur Rimbaud, accanto al Verlaine-David Thewlis. Il culmine della carriera del Di Caprio pre-Titanic è però sicuramente stato il Romeo + Giulietta (Romeo + Juliet, 1996) di Baz Luhrmann, rulo che gli fa fruttato finora la sua miglior interpretazione. Nel ruolo del giovane innamorato l’attore ha saputo esprimere al meglio tutte le sue innate capacità espressive, frutto di un folgorante istinto attoriale. Orso d’oro a Berlino per il miglior attore, Di Caprio ha re-interepretato il classico ruolo di Romeo attualizzandolo e “nevrotizzandolo” secondo gli stilemi della gioventù contemporanea.
Dopo il vero e proprio maremoto mediatico che ha rappresentato il colossal di James Cameron, e la conseguente ascesa del giovane attore a star consacrata nell’immaginario collettivo, Di Caprio ha avuto parecchi problemi a gestire questa improvvisa fama ed a trovare ruoli adatti: sia La maschera di ferro (The man in the iron mask, 1998) che The Beach (id., 1999) si sono rivelati sonori flop sia commerciali che di critica, offuscando sonoramente la sua fulgente stella. Quest’anno, e non poteva essere altrimenti, il grande rilancio con Gangs of New York (id., 2002) di Scorsese e Prova a prendermi (Catch me if you can, 2002) di Spielberg; due film tra loro differenti, che testimoniano entrambi però la raggiunta maturità artistica di Di Caprio, e che dovrebbero fruttargli una seconda nomination all’Oscar dopo quella ottenuta per Buon compleanno Mr. Grape.
Definitiva consacrazione a grande attore? Forse è troppo presto per dirlo. Anche se dotato di indubbio fascino e di forte presenza scenica, Di Caprio ancora non possiede quel carisma che riesce ad imporre le sue interpretazioni al confronto con partners di altrettanto spessore, e proprio i due film appena arrivati nelle nostre sale confermano a nostro avviso questa tendenza; se questo è comprensibile in Gangs of New York, dove Di Caprio non è l’assoluto protagonista del film, e divide equamente la scena con il personaggio di Bill “The Butcher” – Daniel Day Lewis, che sovrasta il suo in spessore drammatico ed intensità emotiva, dove secondo noi l’attore avrebbe dovuto primeggiare ed invece non riesce è in Prova a prendermi: mattatore indiscusso del film, e con un personaggio più vitale ed interessante del detective Tom Hanks, Di Caprio non riesce del tutto ad imporsi di fronte al volto comune, compassato, ed al tono contenuto di Hanks, per non parlare poi del confronto “paterno” con Christopher Walken, che in sole tre tre-quattro scene riesce a delineare con assoluta sincerità la figura di un uomo di grande dignità. Se perciò non possiamo non elogiare la raggiunta maturità del ritrovato Leonardo, aspettiamo ancora a lanciarlo nell’Olimpo degli attori che riescono da soli a rendere una pellicola interessante o avvincente. Certo, è sicuramente sulla buona strada per arrivare a questo, ma deve ancora arrivare….