Luis Buñuel

Vita di un surrealista discreto - 2
a cura di Stefano Finesi

Luis Buñuel

Biografia parte I

 
America America
Il 16 settembre del 1938 la famiglia Buñuel salpa per gli Stati Uniti, ma la disoccupazione è dietro l’angolo: a Hollywood hanno deciso nel frattempo di evitare ogni riferimento alla guerra civile spagnola e questa si avvia a terminare tragicamente nel marzo 1939 con l’entrata di Franco a Madrid. Dopo aver proposto film sull’uomo primitivo e sulla vita degli schizofrenici agli studios, che reagiscono prevedibilmente inorriditi, e dopo essere stato costretto ad abbandonare un posto al Moma di New York in quanto ateo-comunista-surrealista, Buñuel sceglie di seguire l’amica parigina Denise Tual alla volta di Città del Messico, dove ha la fortuna di incontrare il produttore Oscar Dancigers, compagno anch’egli del soggiorno francese. È proprio dal Messico che ripartirà la sua attività cinematografica, con un film in stile Filmófono, Gran Casino (1946), forte dei due più popolari cantanti del momento, Jorge Negrete e Libertad Lamarque: Buñuel dimostra di sapersi inserire perfettamente nei meccanismi dell’industria, acquistando da subito la fama di regista veloce e affidabile. Dopo l’innocuo El gran calavera (1949), Dancigers punta più in alto finanziando Los olvidados (I figli della violenza, 1950), storia di miseria e emarginazione giovanile girato con attori non professionisti: alla sua uscita il film viene accolto malissimo e smontato dopo quattro giorni, ma grazie a Octavio Paz riesce ad approdare a Cannes e a vincere il premio alla regia e il riconoscimento della Fipresci. In Francia Los olvidados diventa praticamente un caso, attirando gli entusiasmi di Bazin, di Prévert, dei Cahiers du cinéma, che dedicano al regista un ampio dossier, mentre anche un giudice non facile come Pudovkin celebra Los olvidados sulla Pravda: alla sua nuova uscita nelle sale messicane il film si trasformerà ovviamente in un successo.
Chiusa la fruttuosa parentesi di Susana (Adolescenza torbida, 1950) prodotto da Sergio Kogan, Buñuel torna a fare coppia con Dancigers, che gli produce La hija del engaño (1951, remake di Don Quintín el amargao) e Una mujer sin amor (1951), a detta dell’interessato il film peggiore che abbia fatto. Dopo Subida al cielo e El Bruto, anch’essi girati con una rapidità e una professionalità che inizia a far gola alle grandi produzioni, Buñuel è coinvolto nel più impegnativo progetto de Le Avventure di Robinson Crusoe, finanziato dalla United Artists: al suo primo film in inglese e a colori il regista, pur restando fedelissimo a se stesso, riesce a piazzare un successo commerciale planetario e a far candidare all’Oscar il poco conosciuto Dan O’Herlihy. Ma non è per merito dei grandi progetti internazionali, come poi sarà il francese Cela s’appelle l’aurore, a cementare nel frattempo la leggenda critica di Buñuel, quanto i piccoli gioielli messicani: él, Abismos de pasión, Ensayo de un crimen diventano film di culto in Europa e soprattutto in Francia, dove il regista è anche invitato in giuria a Cannes e puntualmente intervistato dai Cahiers.
La frequenza dei viaggi in Europa, però, comincia a fargli sentire nostalgia della patria, ancora ostaggio di Franco benché in un contesto molto più disteso rispetto al passato: nel 1956 Buñuel può passare cinque giorni di vacanza con la famiglia a San Sebastián, ma soprattutto può iniziare a meditare un ritorno cinematografico in grande stile. Terminato il lungo sodalizio con Dancigers, si prodiga in due capolavori del calibro di Nazarín e The Young One, nuova ma più personale incursione statunitense, e nel dicembre 1960 può finalmente traslocare a Madrid per la pre-produzione di un nuovo film, Viridiana: mai ritorno in patria avrebbe potuto essere più discusso e clamoroso.

Un autore europeo
Pur essendo prodotto con capitali messicani e pur continuando il suo regista a mantenere la cittadinanza oltreoceano, Viridiana è concepito e girato in Spagna, prodotto dall’industriale messicano Gustavo Alatriste che vuole lanciare sul mercato internazionale la bella moglie attrice, Silvia Pinal: ad affiancarla sarà un attore destinato a diventare un vero e proprio feticcio per il regista, Fernando Rey, scelto a sua detta perché in un film era stato bravissimo a fare il morto. Viridiana approda a Cannes l’ultimo giorno del festival, che gli ha riservato una proiezione in extremis, e si aggiudica immediatamente la Palma d’Oro, la prima mai vinta dalla Spagna: quando però il governo madrileno legge le recensioni e comprende il carattere corrosivo e violentemente blasfemo del film, gli nega la nazionalità e blocca il negativo, costringendo la produzione messicana a ricavare le altre copie dal positivo mostrato a Cannes.
Per Buñuel, però, è la consacrazione definitiva del suo status di autore, che riceve un ulteriore conferma da un capolavoro come L’angelo sterminatore, nuovamente prodotto da Alatriste: il sodalizio tra i due, ma più in generale il rapporto con il cinema messicano, terminerà comunque con Simón del desierto, che Buñuel è costretto a interrompere a metà per i problemi finanziari dell’industriale. Già due anni prima ha conosciuto infatti un piccolo ebreo polacco, Serge Silberman, che ha fatto da produttore a nomi del calibro di Melville, Becker, Bardém e che gli presenta il giovane sceneggiatore Jean-Claude Carrière: i tre, che iniziano a collaborare con Il diario di una cameriera, formeranno da ora in poi una solidissima famiglia cinematografica.
Va da sé che questa famiglia mette radici in Francia, dove nasce peraltro il film più “parigino” e commercialmente fortunato di Buñuel, Bella di giorno: sarà dopo questo incredibile successo, che riesce anche ad accaparrarsi il Leone d’Oro a Venezia, che il regista convince Silberman a produrre La via lattea, il suo film più apertamente teologico, che viene girato proprio mentre infuria il maggio francese e che riesce nel doppio miracolo di incassare al botteghino e di suscitare un certo, insospettabile consenso da parte della chiesa. Anche grazie a questo sostanziale travisamento, Buñuel può accettare la proposta della Epoca Films di girare in Spagna un suo vecchio copione, Tristana, previo un sospettoso colloquio con il ministro dell’Informazione: il film, in cui primeggia nuovamente la bella di giorno Catherine Deneuve, ha ottimi riscontri in tutto il mondo e, a conferma del momento positivo, mentre esce nelle sale Buñuel e Carrière già stanno mettendo a punto una nuova sceneggiatura a cui manca solo il titolo. Sarà il celebre Il fascino discreto della borghesia, che in poco tempo si avvierà a diventare un enorme successo commerciale e a vincere l’Oscar come miglior film straniero: il regista ovviamente snobba la cerimonia, in compenso va Silberman a ritirare il premio, facendosi fotografare travestito da Buñuel, con tanto di parrucca e occhiali scuri.
Ma don Luis intanto sta invecchiando e iniziano i problemi di salute, con l’odiatissimo divieto di bere e fumare: ogni film comincerà a essere annunciato come l’ultimo, anche se la sua creatività continua a sfornare nuove idee e nuovi progetti. Se la sceneggiatura completata di Là-bas non verrà mai girata, come peraltro il suo ultimo copione, Agón, rimasto su carta, Buñuel ha ancora il tempo di mettere a segno due capolavori come Le fantôme de la liberté (Il fantasma della libertà) e Quell’oscuro oggetto del desiderio, e abbandonarsi, in quest’ultimo, a una delle sue più eclatanti trovate surrealiste: quando Maria Schneider è costretta ad abbandonare il set per problemi di droga, non sapendo scegliere tra Angela Molina e Carole Bouquet per la parte della protagonista, scrittura entrambe, alternandole nel personaggio. La sua ultima fatica rimarrà un’autobiografia dal titolo premonitore, Mon dernier soupir, uscita a Parigi nel 1982 e pubblicata poi in tutto il mondo: solo un anno dopo, il mattino del 29 luglio 1983, morirà a Città del Messico dopo un ricovero per coma diabetico.
Le sue ceneri, in un ultimo capovolgimento del destino, sono conservate tuttora dai domenicani del convento di Copilco, in Messico.

(II - fine)