John Cassavetes
La coerenza nel caos, pt 3
di Adriano Ercolani


sommario
parte 1
parte 2
parte 3
 
Fuori e dentro il meccanismo hollywoodiano
Il progetto di Cassavetes di sfruttamento dei meccanismi commerciali dell'impresa hollywoodiana somiglia in un certo modo a quello messo in atto, con dimensioni decisamente più grandi, da Francis Ford Coppola: utilizzare il proprio potere commerciale al fine di ottenere autorità e, soprattutto, il denaro sufficienti a girare opere più personali e difficili. In questo senso la carriera d'attore di Cassavetes è coerente: fin dalla sua prima parte importante in Edge of the city (Nel fango della periferia, 1956) di Martin Ritt, il suo intento è stato quello di adoperare le proprie doti istrioniche al fine di garantirsi una carriera d’attore redditizia, senza voler risparmiare il suo talento per opere importanti o registi ritenuti autori. E se sono arrivate poi anche interpretazioni per alcuni grandi del cinema come Polanski (Rosemary's baby, id., 1968) o De Palma (Fury, id.,1978), allo stesso modo ha accettato film minori o decisamente incolori come Incubus (Incubus, il potere del male 1981) di John Hough. Il rapporto con la grande macchina hollywoodiana per il Cassavetes autore è stato invece meno trasparente: se da una parte egli ha sempre cercato di rimanere un indipendente, allo stesso tempo ha dovuto fare i conti con il fascino e la potenza dell'industria, sia a livello esplicito che in un modo più nascosto. Nei suoi progetti più liberi infatti egli ha spesso tentato una rivisitazione dei generi classici, reinterpretandoli secondo la propria ottica e il proprio modo di fare cinema. Minnie & Moskowitz o Gloria cos'altro sono se non un'interpretazione personale della sophisticated comedy e del gangster-movie? E La sera della prima non è forse un personale omaggio ad All about Eve (Eva contro Eva, 1950)?
Il primo tentativo del regista verso un cinema più narrativo, in altre parole più classico, potrebbe essere già identificato nel lavoro di revisione della prima versione di Ombre. Non che egli sia stato sedotto dalla prospettiva di fare del film un lavoro in linea con le produzioni mainstream, ma senza dubbio si tratta di un tentativo per rendere il film meno sporco e sperimentale, una maniera di distaccarsi dall’entusiasmo del NAC, di cui egli non condivide la carica eversiva. Cassavetes infatti non vuole essere un autore contro il sistema, e non lo rifiuta: rifiuta soltanto le costrizioni ed i compromessi che esso impone a chiunque voglia proporre un discorso personale. Pur di non rinunciare alla propria libertà, ha preferito rimanere un indipendente ai margini della macchina hollywoodiana, ed ammiccare ad essa ogni volta che gli è stato possibile. Non tutte le sue opere sono state prodotte con auto-finanziamenti: soprattutto ad inizio carriera vi sono stati dei tentativi di accordo tra il regista e le Major. Too late blues (Blues di mezzanotte, 1962) e A child is waiting (Gli esclusi, 1963), il secondo e terzo film di Cassavetes, sono stati prodotti rispettivamente dalla Paramount e da Stanley Kramer, che in quel periodo era riconosciuto come uno dei tycoon più liberal di Hollywood. Sfortunatamente si sono rivelati un fallimento, dato che Kramer a riprese ultimate ha tolto il film al suo autore e lo ha rimontato a suo piacimento. Da allora i contatti con le major si sono interrotti, e sono stati ripresi solo con Love streams, che, nonostante sia stato prodotto dalla Cannon (che pur non essendo una Major aveva comunque una certa influenza), ha potuto essere girato e montato in piena libertà creativa.
Ma anche nei suoi film indipendenti Cassavetes ha avuto ben presente gli schemi e le storie del cinema classico, rielaborandoli attraverso il proprio gusto. L’esempio più riuscito di questo discorso di appropriamento e rivisitazione dei codici dei generi è L’assassinio di un allibratore cinese, in cui assistiamo alle vicissitudini di Cosmo Vitelli, il proprietario di un locale di spogliarello che è costretto dalla malavita ad uccidere per pagare i propri debiti. Se la storia di questa pellicola risponde a tutti i crismi del gangster-movie, la sua messa in scena è volutamente improntata a disattendere il genere: i momenti in cui un film come questo dovrebbe dispensare azione, tensione, angoscia, in realtà vengono trasformati in Cassavetes in tempi morti: una costante del suo modo di costruire le storie. Questa immobilità al posto del movimento è la cifra stilistica di tutta la pellicola, che vive di pause, di silenzi, di risoluzioni non compiute o rimandate. Esemplare è proprio la scena dell’assassinio, in cui praticamente non succede nulla. Anche la fine del film non vuole essere una conclusione, e noi vediamo Cosmo uscire dal suo locale ferito a morte, ma non sapremo mai qual è stato il suo destino.
Altro rifacimento del gangster-movie è Gloria, dove addirittura viene messo in scena il ribaltamento totale della figura del killer invincibile: questa volta a sbaragliare la mafia e a fare strage di sicari è addirittura una donna, precisamente la mantenuta del boss. Tutte le soluzioni alle sue vicissitudini hanno il sapore della casualità, dell’imprevisto, soprattutto nel finale, quando l’eroina riesce a scappare dal covo dei malavitosi in non sappiamo quale maniera. Anche il classico rapporto amoroso tra il gangster ed un compagno viene sbeffeggiato mettendo accanto a Gloria nientemeno che un bimbo di otto anni, che contribuisce a rendere la coppia più vicina ad un duetto comico che a qualcosa di serio. Infatti il film è incentrato quasi più sulle gag dei due involontari fuggiaschi, sui loro disagi, piuttosto che su quelli provocati dai cattivi di turno.
Non sono pochi gli autori che hanno portato avanti un discorso coerente e preciso sulle proprie idee e la propria poetica. Ma nessuno si è avvicinato al progetto di cinema ideato e sviluppato da John Cassavetes. Diverso e fuori dalle regole, il fenomeno-Cassavetes ha rappresentato una sorta di cometa senza scia, un cinema talmente personale da non poter essere in alcun modo riproducibile o assimilabile. Per questo di John Cassavetes, purtroppo, si potrà sempre e soltanto parlare al passato.

(3 - fine)