Il cinema di Clint Eastwood e la musica

Soul Man
di Giuliano Tomassacci

 
 
Numerose sono le sequenze memorabili in Mystic river, l’ultima opera di Clint Eastwood. Ma c’è ne è una che spicca su tutte e che permette di evidenziare la palpitante componente musicale: costretti alla semi-oscurità dal paesaggio lunare del proprio soggiorno, Dave (Tim Robbins) e la moglie Celesta (Marcia Gay Harden), si confrontano come mai prima di allora. Lui, inorridito e finalmente sincero nei confronti del proprio passato; lei, attonita e inadeguata al conforto umano, perché lacerata dal dubbio e dall’incertezza. Densissimo snodo spirituale del lungometraggio, il segmento si giova ampiamente del sentito lavoro degli interpreti, dell’alto contrasto fotografico nelle luci di Tom Stern e dell’appropriatissima scrittura registica e musicale (stringata ma pregnante, appena accennata ma viscerale), entrambe riconducibili alla medesima sensibilità autoriale, quella di un Eastwood finalmente in grado di entrare a pieno titolo nella ristretta cerchia di autori-musicisti (assieme ai contemporanei Amenabar, Figgis, Carpenter – guarda caso citato proprio nella sequenza descritta), dopo un lungo, intenso lavoro di ricerca e meditazione musicale, manifestamente scandite da ogni nuova opera offerta ad una filmografia sempre più pregevole.
Sin da quando la musica costituiva il fondamento che ne caratterizzava il personaggio.
In effetti, anche il più generico sguardo retrospettivo che approdi agli albori della sua carriera, non potrà sfuggire all’evidenziazione di un palese e insistito campo gravitazionale musicale al centro del quale l’artista è stato da subito attratto (già dal quel celeberrimo, tiomkiniano motivo d’apertura della serie Rawhide, che lo battezzava per direttissima al genere di frontiera). In breve, il volto dell’attore viene disegnato con decisione dal fischio morriconiano per la ‘trilogia del dollaro’ di Leone e la sua aspra fisionomia, stagliata contro le luci di una notturna San Francisco, è incentivata dal mood urban-jazzistico del Lalo Schifrin di Dirty Harry (Ispettore Callaghan:Il caso Scorpio è tuo). Nasce, così, un’icona musicale, proprio quando, coincidentalmente, Eastwood rinasce regista (1971).
E’ l’inizio di un cammino scrupolosamente selettivo, un progressivo avvicinarsi verso la propria musica - quella più adatta all’estetica di un jazzista delle immagini – che trova esemplificazione nella nutrita schiera di compositori chiamati a soddisfare, di volta in volta e con esiti più o meno permeanti, la propria opera.
Congedato Dee Barton dopo le prime due esperienze registiche, Eastwood sembra passare al setaccio il nettare della scuola cine-musicale anni ’70, da John Williams (dal quale, non a caso, ottiene per Assassinio sull’Eiger una delle ultime partiture in chiave jazzistica del compositore, prima dell’approdo al sinfonismo di Star Wars) fino alla più fruttuosa collaborazione con Jerry Fielding per Il Texano dagli occhi di ghiaccio e L’uomo nel mirino. Quindi è la volta di Jarre (Firefox-Volpe di fuoco) e nuovamente del confronto con Schifrin, per motivi chiaramente legati a continuità ‘callaghaniane’ (Coraggio… fatti ammazzare). Parallelamente, il cineasta stabilisce rapporti musicali intradiegetici di notevole significanza: cominciando con la reiterazione del brano Misty di Errol Garner, maniacalmente richiesto dalla protagonista di Brivido nella notte (di una simile valenza simbolica sarà investito il folkloristico Big Fran’s Baby, ricorrente in Un mondo perfetto), il sempre maggior bisogno di personalizzare musicalmente il proprio cinema sfocia nella fisicità di Honky Tonk Man (è l’attore-autore in persona ad essere protagonista-musicista – forse la più compiuta personificazione filmica dell’artista stesso). Indubbiamente Bird – eccezionale e ispirato atto d’amore nei confronti delle melodie nere a cui Eastwood avrà successivamente modo di rendere omaggio per mezzo di un documentario diretto per la PBS – rappresenta un fondamentale punto di svolta: massima esaltazione di quella crescente volontà musicale interna, il film riunisce il regista al compagno di leva della guerra in Corea, Lennie Niehaus, arrangiatore dei numerosi brani della pellicola e in precedenza fedele collaboratore di Fielding.
Oggi, cementata da più di dieci film, la lodevole collaborazione dei due artisti non può che certificare come, nel compositore statunitense, Eastwood abbia trovato la migliore controparte o, più precisamente, la migliore metà musicale.
Fortemente affini per gusto estetico e compositivo, i due cineasti hanno infatti unito le forze in un preciso lavoro a quattro mani, con il regista generalmente impegnato nella stesura dei temi portanti dei vari score e Niehaus incaricato dell’attento completamento della partitura nonché del lavoro di orchestrazione e direzione d’orchestra.
Mystic river arriva, dopo le eccellenti prove per Gli spietati (dove l’intima cantata per chitarra classica faceva capitolare per contrasto proprio il tradizionale, epico western-scoring da cui l’attore fu battezzato) e I ponti di Madison County, a testimonianza di un’ulteriore giro di boa: Eastwood, probabilmente cosciente dell’ormai raggiunta maturità compositiva, si concede completamente al commento del suo film-parabola, compilando autonomamente lo score e affidandolo all’interpretazione della Boston Pops Orchestra con il Tanglewood Festival Chorus, diretti dal fedele Niehaus. Schematicamente basata su un tema di quattro note, la partitura trae gran parte della sua funzionalità dall’oculato lavoro di ‘spotting’ operato dal regista che, semplicemente variando, all’occorrenza, il motivo in chiave minore, riveste il lungometraggio di un senso di fatalità universale sconcertante, lavorando, in diverse occasioni, su accostamenti spesso inappropriati (indicativo lo sfogo tematico sulla panoramica verso il cielo subito dopo il ritrovamento del cadavere nel parco: un caricamento contrappuntistico il cui apparente distacco dal fotografico non fa che amplificarne l’effetto di angosciante immobilità, il senso, cioè, di umana inevitabilità da cui l’intero plot è attraversato. Servendosi di cenni ampi, distinti e incontaminati da complicazioni melodiche ulteriori, riflettendo in tal modo il principio di regia, Eastwood adotta la semplicità per trasmettere il multiforme fardello della vita a confronto con la morte, con la derivante efficacia che solo una parabola, per l’appunto, può vantare.
La conferma ultima e ulteriore, dunque, di un narratore lucidamente ubiquo che all’occorrenza sa farsi sensibile nei confronti di ogni personaggio, anche il più marginale, coraggiosamente disposto a farsi traduttore di quella desolazione pertinente a chi non vuole e non ha bisogno di mentire, al cinema. Un ‘cantore’ (ora più che mai, visto il totale adempimento al doppio ruolo autoriale) dell’animo ferito.

Discografia relativa
Mystic River, original soundtrack – Warner Bros Records
Unforgiven, original score – Varese Sarabande
The Bridges of Madison County, original soundtrack – Malpaso Records
Music For The Movies of Clint Eastwood – Warner Sunset/Warner Bros 9362-48060-2