Larticolo si riferisce
alla visione delle prime due stagioni della serie. Andata in onda in America tra il 1999 e i 2006, anno della sua definitiva chiusura, questa è la serie televisiva che probabilmente più di altre ha spostato il fulcro dellattenzione dallazione alla dialettica: un po come successo per i momenti migliori di House M.D., la vera tensione presente in ogni puntata di the West Wing si può rincontrare nel confronto retorico - ma dietro di esso sinceramente ideologico ed emotivo - che oppone di volta in volta i personaggi protagonisti tra loro, oppure con gli avversari politici a loro presentatisi. Bloccata lazione pressoché interamente dentro gli uffici della Casa Bianca (altra costante evidentemente indispensabile per creare ununità dazione che non disperda lattenzione dello spettatore quando i dialoghi sono la cosa più importante), il creatore Aaron Sorkin ha impostato già dalle primissime puntate un ritmo dialettico di impressionante efficacia, che equilibra con verosimiglianza gusto erudito della parola con importanza e precisione de messaggio politico/sociale. Già, perché prima ancora di essere splendido esercizio di stile retorico questa serie Tv si pone come accalorato sostegno delle idee più liberali dellala democratica americana, sviscerate nella loro importanza ma anche nelle loro contraddizioni, che nella maggior parte dei casi si scontrano con un idealismo difficile da metter in pratica in un sistema politico clientelare come quello statunitense. Lo spirito che anima le figure messe in scena è pienamente riconoscibile, mai ambiguo anche quando presentato con la problematicità dellidea non esplicita, ma filtrata dalla diplomazia e la duttilità di chi deve fare politica; al tempo stesso, ogni personaggio possiede la propria fisionomia e psicologia criticamente delineate, formatesi in una back-story che riaffiora presente e tratteggia con sempre maggiore sfaccettatura la psicologia di tutti. Sotto questo punto di vista la più emblematica sembra essere la persona di Toby Ziegler (Richard Schiff), primo addetto ai discorsi del presidente, luomo più democratico e portatore delle idee più riformatrici dellintero staff, ed insieme a questo pure esponente delineato della sua radice culturale ebraica ed urbana. Lidea alla base di the West Wing è in realtà cinematografica, o meglio deriva da un successo cinematografico: nel 1995 Aaron Sorkin, che già aveva collaborato con Rob Reiner scrivendo la sceneggiatura di Codice donore, sforna insieme al cineasta un altro piccolo gioiello di propaganda democratica intelligente e perfettamente calibrato nei dialoghi, quel il Presidente - una storia damore che vedeva Michael Douglas ed Annette Bening protagonisti, e proprio Martin Sheen nel ruolo del primo consigliere del presidente degli Stati Uniti. Sheen che invece nella serie impersona egli stesso Jed Bartlett, il capo del mondo occidentale. Dal successo di pubblico e critica di quella commedia romantica lidea di svilupparne una serie per la televisione, sfruttando lenorme capacità di Sorkin di sapere gestire la tensione endemica degli eventi praticamente soltanto attraverso la loro espressione verbale. Realizzato con una cura estetica notevole, che diventa ad esempio grande lezione di regia e montaggio cinematografico nellultimo episodio della seconda serie intitolato "le Due cattedrali", the West Wing è poi interpretato da un gruppo di attori che difficilmente si è visto così ben amalgamato. Se nella prima serie ad eccellere su tutti è Bradley Whitford nel ruolo del tenace e testardo Josh Lyman, nella seconda la parte del leone, soprattutto nella seconda parte, la fa un Richard Shiff che si dimostra caratterista di duttilità sopraffina. Ma è praticamente impossibile non citare anche il grande carisma e la presenza scenica di Allison Janney, attrice che merita come gli altri di sfondare anche sul grande schermo. Vincitore di 2 Golden Globes e di ben 26 Emmy Awards nel corso delle sette stagioni di programmazione, the West Wing è a nostro avviso il maggior esempio recente di come la produzione televisiva statunitense possa essere veicolo insieme di intrattenimento intelligente e lucida, necessaria propaganda democratica. Se il cinema hollywoodiano continua ad alternare pellicole e star esplicitamente schierate a sinistra ad opere decisamente più conservatrici - vedi il difficile impatto ideologico del recente John Rambo di Stallone, cè da segnalare senza dubbio questo Aaron Sorkin come uno degli esponenti più duttili ed efficaci del panorama liberal americano, e tenerlo in considerazione come uno degli sceneggiatori più interessanti di tutto il suo sistema mediatico. È quindi da attendere con trepidazione la sua prossima sceneggiatura, the Trial of the Chicago 7, incentrata sul processo a sette imputati di cospirazione durante la convention democratica tenutasi in Illinois nel 1968. Protagonista Philip Seymour Hoffman, non confermati ma possibili anche Will Smith, Sacha Baron Cohen, Kevin Spacey, Jeff Daniels. Alla regia confermato Steven Spielberg. Cosa chiedere di più? |