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id., Usa, 2001
di Cameron Crowe, con Tom Cruise, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Kurt Russell, Jason Lee
Nella storia recente del cinema americano vi sono pellicole che, nate
allinsegna del più eterogeneo progetto commerciale, si
rivelano poi essere una miscela mal riuscita di elementi tra loro poco
amalgamabili. Nel caso di questo Vanilla Sky invece lesperimento
è riuscito quasi in pieno, anche se le premesse erano a dire
il vero alquanto preoccupanti: prima di tutto lidea di fare il
remake americano di Apri gli Occhi (1998) di Alejandro Amenabar,
una pellicola che a dire il vero non ci aveva entusiasmato, soprattutto
per la scarsa coerenza della trama e lestremo distacco "intellettualoide"
con cui il regista laveva diretta; secondo elemento di inquietudine
è stato poi sapere che Tom Cruise aveva preso in mano lidea
e aveva chiamato al timone della nave lamico Cameron Crowe, che
fino a quel momento aveva diretto soltanto (godibilissime) commedie.
Cosa avrebbero combinato la più grande star commerciale di hollywood
ed un regista specializzato in tuttaltro tipo di cinema, se messi
alle prese con il rifacimento di un film difficile, oscuro e poco adatto
al grande pubblico, come appunto era Apri gli occhi? Fortunatamente
abbiamo sottovalutato lintelligenza produttiva e la bravura dattore
del signor Cruise e soprattutto l'abilità di sceneggiatore e
regista di Cameron Crowe. Anche se il film è praticamente uguale
alloriginale, ladattamento dellautore di Quasi
Famosi lo rende decisamente più intellegibile nello svolgersi
della vicenda, e perciò adatto alla comprensione di un pubblico
più vasto, rimanendo capace di accontentare anche i palati più
fini. Rispetto alla prima versione, infatti, la storia viene condita
con una buona dose di romanticismo, che una volta tanto non guasta,
anzi. Alla fine del film infatti - mentre poco o nulla ci era importato
del destino dell'irritante personaggio di Apri gli Occhi - ci
siamo ritrovati commossi a parteggiare per il buon esito delle vicende
di Tom Cruise, affascinati dall'onirica bellezza della scena di chiusura.
Nella quale arriva la spiegazione degli eventi, che rende la trama,
fino ad allora avvincente ma non sempre comprensibile, un piccolo gioiello
di costruzione narrativa, servita inoltre da un ottimo cast di attori.
A rendere lopera ancora più affascinante contribuiscono
molto un montaggio volutamente non lineare ed esplicativo, che incastra
vari piani temporali con intelligenza, e soprattutto la magnifica fotografia
di John Toll, capace di un'eleganza e di un'asciuttezza di immagine
davvero sorprendenti. Fra le altre cose Crowe da corpo ad un'intuizione
vertiginosa e ficcante: che, dovendo ricreare un mondo "felice"
e ideale, il protagonista faccia incoscaimente appello ad immagini ed
esperienze direttamente prelevate dalla cultura pop (copertine di dischi,
suggestioni televisive e così via), trasfigurandole in una apparenza
di realtà, senza che però i riferimenti di partenza siano
immediatamente intellegibili. L'immaginario pop diventa una sorta di
eco, uno sfondo coerente che, nel tono onirico e fuori dal tempo del
film, si rivela una guida densa di emozioni che tutti bene o male possono
condividere. Ed è anche questo che, in modo decisamente originale,
riesce ad avvicinare lo spettatore a dei personaggi inizialmente troppo
belli, ricchi e irritanti per poter pretendere amore. Più scopertamente,
lo stesso discorso è perseguito nell'allestimento della colonna
sonora, che mette insieme episodi modernissimi (Radiohead) con classici
raffinati e gaglioffi (Todd Rundgren) e puntuali inediti (Paul McCartney).
Crowe è così sicuro delle sue scelte musicali da stravolgere
più di una volta la regola che suggerisce di utilizzare la musica
per caricare ancora di più l'emozione di un dato momento nella
stessa direzione delle immagini (per esempio: momento triste più
musica triste), scegliendo accostamenti a volte spiazzanti che contribuiscono
a stratificare il senso e la temperatura emotiva della scena. In un
periodo in cui la mancanza di idee interessanti nel cinema americano
sta portando allabusata pratica del remake, Vanilla Sky
dimostra come, se questo tipo di progetto viene realizzato da uomini
di cinema intelligenti e capaci di re-interpretare con astuzia una data
idea, allora il nuovo modello può essere addirittura più
interessante del prototipo.
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