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Che succederebbe se un giorno un
comico diventasse il presidente degli Stati Uniti? Niente. Infatti non
succede. Chissà, magari ci sono dei sottotesti nel messaggio
de Luomo dellanno che non meriterrebbero
una frettolosa archiviazione; magari la constatazione finale di Levinson,
appena riportata, si può rivelare più sapida del previsto.
Ad ogni modo, sembra abbastanza evidente che non è il testo a
contenere la parte migliore del film: quel testo secondo cui Tom Dobbs,
una specie di Beppe Grillo doltreoceano, prende sul serio linvito
di uno dei suoi numerosissimi fans e si candida alle presidenziali come
indipendente, e vince. Certamente Tom Dobbs ha il volto di Robin Williams
ed essendo un film di Barry Levinson, Williams, come dire, ci
sta tutto- ed è un volto segnato da nuove rughe e illuminato
dal suo bonario istrionismo, piccante come un salatino da party, e il
film è quasi tutto lui, fatto salvo il ruolo di Christopher Walken,
il manager infartato, e Laura Linney, tesa e solitaria. Certamente,
si penserebbe, questa è una commedia. Certamente, è la
risposta, ma fino ad un certo punto, più o meno fino alla fine
del primo atto: una mezzora scarsa. Poi arriva la Linney, e il
film tenta la starda tortuosa del thriller, più o meno, con un
occhio alla commedia, ma un occhio sempre più sfocato. Cè
un inghippo legato alla faccenda delle elezioni, cè qualcuno
che sa troppo, altri che vogliono a tutti i costi che non parli; in
mezzo, Beppe grillo al Potere. Non appena subentra il registro mystery
la storia comincia a girare a vuoto, Williams resta tagliato fuori dal
suo ambiente naturale (quello per cui avevamo pagato il prezzo del biglietto),
e dirada la caratterizzazione del suo personaggio, diventa serio perché
la situazione sembra seria, e però è impettito, legnoso,
tocca aspettare quei pochi minuti di show televisivi qui e là
per divertirsi davvero. Nel frattempo tocca anche sorbirsi Laura Linney
incastonata in una partitura vagamente hitchcockiana piena di buone
intenzioni. Si arriva al termine del film salutando un finale con cui
si aveva già fatto amicizia già da troppo tempo, chiedendosi
che succederebbe se Robin Williams fosse nel film- divenuto presidente
dAmerica. Promemoria per un possibile sottotesto della pellicola:
forse che Levinson non fa diventare davvero Tom Dobbs presidente perché
intende dire che lAmerica, da un punto di vista politico, non
è pronta a farsi guidare da una prospettiva più ironica
e più indipendente? In tal caso, sottrarre una stella alla valutazione
complessiva della qui presente recensione.
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