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Italia, 2001
di Gabriele Muccino, con Stefano Accorsi, Giovanna
Mezzogiorno, Stefania Sandrelli, Marco Cocci, Pierfrancesco Favino,
Sabrina Impacciatore, Regina Orioli, Giorgio Pasotti, Daniela Piazza,
Claudio Santamaria, Martina Stella, Piero Natoli, Sergio Castellitto,
Carmen Consoli, Massimo Raso
Non si può dire che L'ultimo bacio non sia un film efficiente.
Grazie ad unattenta direzione degli attori (spesso, in realtà,
mediocri), una regia patinata e veloce, e, in generale, un forte sentimento
di vicinanza dell'autore nei confronti dei suoi personaggi, il film
raggiunge un certo pubblico, come dimostrano anche gli ottimi incassi
italiani e l'attenzione dell'americana Miramax verso il giovane autore.
Ma il film di Muccino va osservato con attenzione al di là di
questa performance produttiva perché è, involontariamente
e sottilmente, ben più di un'operazione riuscita. E' il paradigma
dei un cinema moralistico minimalista, contro l'universalità
dei un cinema mitico e realmente intenso.
Il film racconta la storia di Carlo che, arrivato a trent'anni, scopre
che la sua relazione con Giulia non è più così
salda e interessante come una volta. Carlo dice, all'inizio del film,
che era innamorato di Giulia, ma ora questo amore sembra essere affievolito,
se non addirittura sparito. Carlo conosce la diciottenne Francesca e
lunico amore e passione che il film ci mostra effettivamente venire
da Carlo è diretto proprio a lei. Durante tutto il film Carlo
è tormentato dal tradimento verso Giulia e dalla responsabilità
verso il figlio che sta per avere, ma contemporaneamente sullo schermo
vediamo un Carlo felice e vitale quando è nelle braccia di Francesca.
Dopo che il film si è impegnato per più di un'ora a descriverci
questa situazione, una mattina, dopo aver litigato pesantemente con
Giulia e aver fatto l'amore con Francesca, Carlo si sveglia e si rende
conto che la libertà che cercava non va bene (e Muccino vuole
convincerci di questo semplicemente mostrando Carlo che vede Giulia
al posto di Francesca nel letto di quest'ultima), che deve tornare da
Giulia. E lo fa, contro se stesso e grazie al consiglio paterno e saggio
(ma in realtà desolatamente cieco e rassegnato) del padre di
Giulia, che nel frattempo ha vissuto un'esperienza uguale e contraria
(la moglie ha cercato invano all'esterno una passione che non trovava
più nel matrimonio). Cosa fosse l'amore che c'era, prima della
crisi, in Carlo verso Giulia e che lo stesso Carlo denuncia essere sparito,
il film non ce lo mostra mai. Sia alla base della scelta iniziale del
protagonista di rompere la coppia che di quella finale di riformarla
il film mette, molto più chiaramente che l'amore, un sentimento
ugualmente forte: la paura. Paura di rimanere ingabbiato in una relazione
sbagliata, all'inizio, e paura di affrontare una relazione desiderata
ma radicalmente estranea alle regole imposte dalla morale alla fine.
Questa paura vince, in entrambi i casi, e Carlo, pagato il suo pegno
al celibato con un "ultimo bacio" pieno di rimorsi, si sveglia
una mattina e rientra nell'istituzione del matrimonio. Ma questo percorso,
che sembrerebbe la tragica storia di una sconfitta, viene narrato dal
film come positivo e romantico. Carlo ha sbagliato fin dall'inizio a
lasciare Giulia, ed è giusto e bello che torni da lei. Perché?
Forse perché la ama? Ma questo amore dov'è? Quando ci
è stato narrato? Ciò che ci viene mostrato convincere
Carlo a tornare con Giulia sono i sensi di colpa, la paura di fare scelte
radicali, le ramanzine sulla moralità della famiglia travestite
da saggi consigli paterni.
Muccino rinuncia a scrivere un cinema che parli a tutti, che parli d'amore
e della sua necessità dolorosa, e mette in piedi la famosa fotografia
di una generazione di maschi trentenni deboli e disorientati non tanto
per osservare questa situazione, quanto per giustificarla. Ed in questo
senso gioca la poco riuscita coralità della sceneggiatura, che
mostra gli amici di Carlo (fra tutti il desolante stereotipo del rasta
cannabilista) che scelgono finalmente di abbandonare una quotidianità
mal vissuta partendo per un viaggio a lungo vaneggiato. Vedete, dice
il film, ci possono essere altre scelte oltre quella di Carlo. Ma vedete
- dice anche il film, che a conti fatti è la storia di Carlo
e Giulia, e non è affatto la storia degli amici di Carlo e Giulia
- quelli che partono rinunciano allatteggiamento veramente maturo,
quello di Carlo. Un atteggiamento che il film vorrebbe dimostrare sano
e giusto, ma di cui tirando le fila del film risalta, con un autogol
notevole, l'essenza di scelta mossa dalla paura, contro l'amore e contro
la felicità costruita sui propri desideri e non necessariamente
secondo le imposizioni dettate dall'esterno. Io non ho trent'anni. Non
mi riconosco nei problemi di questa generazione e nelle scelte narrative
di questa storia. E proprio questo è il punto dolente e ciò
che rimprovero al film: il cinema di Muccino non fa nulla per farmi
entrare nei suoi protagonisti, non li motiva con la forza necessaria,
lasciando a sorreggerli unirritante morale preconfezionata. Ai
personaggi danza intorno inutilmente con la mdp (con una scelta stilistica
davvero poco controllata e sensata), senza mai aprirli agli occhi dello
spettatore. Li racconta con l'irrinunciabile minimalismo moralista del
cinema italiano contemporaneo, ponendo alla base delle loro scelte non
i sentimenti, ma necessità morali particolari spacciate per sentimenti.
Una scelta chiusa e asfittica, incapace di miticizzare, astrarre ciò
che racconta per renderlo universale e realmente coinvolgente. Un cinema
fintamente intenso e che in sostanza ha, come i suoi protagonisti nei
confronti della vita, paura del Cinema. |