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the Truth about
Charlie, USA, 2002 di Jonathan Demme, con
Thandie Newton, Mark Wahlberg, Tim Robbins, Charles Aznavour.
Jonathan Demme ha sempre amato giocare coi generi. Dal comedy-on the
road-romance drama di Qualcosa di travolgente al melo-horror
de Il silenzio degli innocenti, il regista si è
spinto a testa bassa in territori diversi, sempre con la freschezza,
linventiva e la lucidità di un talento duttile. The
Truth about Charlie è forse la sua sfida più
estrema, un dichiarato omaggio al primo Truffaut e in genere a tutta
la Nouvelle Vague, intesa come libertà totale nellutilizzo
della camera stylo. Una libertà tanto precisa e sentita da diventare,
paradossalmente, uno stile e un genere. Forzando questa filosofia di
base, il regista sceglie di costruire un film che è tanto narrativamente
privo di fascino quanto registicamente magnetico. Demme, e quindi anche
il pubblico, non è minimamente interessato alla verità
su Charlie e allallegato plot da scheme-thriller. Vuole invece
raccontare vividamente, utilizzando ogni mezzo (dalla pellicola al video),
i suoi attori e la città, Parigi, imprimendo un ritmo e una sensatezza
al tutto basati unicamente sul modo di riprendere la realtà.
E unaltra la verità a cui è interessato Demme:
quella che sta dietro il mistero espressivo del cinema, inteso come
arte della messa in scena, come equilibrio degli elementi dellinquadratura
e movimento del montaggio. E spinge il suo film a riflettere su tutto
questo, con attitudine simile ad alcuni esperimenti Nouvelle Vague,
senza alcuna pretesa di intellettualizzare il discorso, e svuotando
limpresa di ogni rischio di maniera grazie allutilizzo di
un ironia sopra le righe che rifinisce con uno sberleffo ogni situazione
e ogni personaggio. Continuamente in bilico su unimpossibile e
personale linea comico-grottesco-surreale-romantica, vorticosamente
citazionistico ma godibile anche da chi non riconosce cammei di attori,
film o monumenti, completamente libero nei movimenti drammatici e visivi,
the Truth about Charlie osa liberarsi di una necessità
narrativa da cui nessuno potrebbe prescindere e sperare contemporaneamente
di ritrovarsi fra le mani un opera sensata. Quello che ne viene fuori
è un divertissement sperimentale, eccessivo e spericolato, un
omaggio didascalico, sbracato e commovente, un esercizio di stile ibrido
e impossibile. Che, nonostante sbandi furiosamente qua e la sulla corsia
dellintrattenimento e metta alla prova lirritabilità
di chiunque con una fedeltà imitativa dei modelli stilistici
di riferimento spesso eccessiva, mostra comunque una coerenza e una
purezza assoluta nel progetto. Coerenza che si percepisce istintivamente
durante il film e che si può dedurre lucidamente grazie ad almeno
due indizi. Uno è il perfetto controllo di stile e ritmo che
Demme mantiene per tutto il film. Mai, neanche quando la confusione
e limprobabilità narrativa sono ai vertici, si ha la sensazione
che un inquadratura sia fuori posto, un movimento di macchina sia non
necessario o sgraziato, un volto sia inopportuno o ridondante. Laltro
è la risposta precisa e puntuale della performance di ogni attore
(perfetta e magnetica Thandie Newton in un ruolo che raccoglie leredità
impossibile di Audrey Hepburn e che soffre di una messa a fuoco difficoltosa),
che sembra cogliere perfettamente lo spirito del film nonostante lestrema
pretestuosità della costruzione drammatica e dei caratteri tracciati
dallo script. And watch the world spinning gently out
of time (E guardare il mondo che gira dolcemente fuori
tempo): è un verso di Out of time, singolo
dei Blur, gruppo inglese emblema del pop-rock contemporaneo, pop che
ha ormai superato la New Wave per diventare oggi semplicemente Wave.
Esattamente in modo uguale e contrario si muove Demme, che sceglie di
scivolare fuori dal tempo per raccontare con passione adolescenziale
una Nouvelle Vague che non può più esistere, ibridata
dallocchio post-moderno di un regista che è stato sempre
(o almeno fino a qualche anno fa) al centro del suo tempo, e da questa
posizione tenta di rileggerla in modo spericolato.
La metamorfosi del genere in Nouvelle Wave è chiaramente al di
sopra delle forze di chiunque, e Demme manca clamorosamente lobiettivo
di riprodurre lessenzialità e la freschezza dei primi esperimenti
truffautiani. Nellintento di attuare il suo progetto, riesce perfino
a ridurre una storia high concept e a struttura narrativa forte come
quella delloriginale Sciarada (1960), di Stanley
Donen (di cui the Truth about Charlie è il remake),
in puro cinema dautore, facendo incoscientemente (e forse con
un minimo necessario di arroganza) finta di ignorare che nel frattempo
sono passati quarantanni di cinema, e letteralmente indugiando
- con cuore puro ma poco tatto - sulla tomba del regista de i
400 colpi.
Ma daltra parte porta avanti un cinema rischioso, affettuoso,
complesso, sentito, sperimentale, libero, istintivo, rapido e talentuoso,
con una prospettiva interna allindustria ma spavaldamente conscia
che ribadire a voce alta i propri margini di indipendenza può
portare inutili successi e preziosi fallimenti. E proprio di questi
ultimi the Truth about Charlie è emblema di
rara precisione e forza visionaria. |