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Open Range,
Usa, 2003
di Kevin Costner , con Kevin Costner, Robert Duvall,
Annette Bening, Michael Gambon
Open Range nasce con un destino già segnato:
rimanere isolato e disarmato nel bel mezzo di unepica ormai definitivamente
iper-destrutturata dopo il testamento siglato nel 1992 da Clint Eastwood
con Gli spietati, notoriamente definito come Lultimo
Western.
E il capolavoro eastwoodiano non può che diventare il termine
di paragone inevitabile rispetto ad ogni velleità coraggiosa
e anacronistica di rispolverare liconografia e le tematiche del
Genere per antonomasia.
La conseguenza è un paradossale confronto con lanticlassico,
o per dirla in maniera più colorita, un rendez-vous macabro nel
regno dei morti del genere western, che ci aveva salutati con la sagoma
di Clint che si lasciava ingoiare dalle tenebre tempestose, a sottolineare
ulteriormente leclissarsi definitivo del eroe nel buco nero da
cui era uscito per la sua ultima impresa. Niente più aura mitologica,
niente più orizzonte romantico contro il quale lasciar stagliare
la sua figura. Nemmeno più il miraggio di un deserto di libertà
da contrapporre allo strazio del vivere civile. Solo il buio e il nulla
per tutti i cowboy possibili. Anche per quelli vigliacchi, perdenti
, derisi, crepuscolari e impotenti degli anni settanta. Quelli di Altman
e di Peckinpah per intenderci.
Ed è dalla contrapposizione dei due finali che si deve partire
per individuare il senso di Open Range, che sembra
voler prendere per gli speroni quelleroe annientato dalla Storia
(del cinema) e rigettarlo nel mondo dei vivi, anzi dei vecchi, ma sicuramente
ben al di qua del confine ultimo e dello scongiurato appuntamento con
Satanasso.
Costner fa risorgere il loser (anzi il lost) e lo rispinge dentro il
recinto delle tematiche più classicheggianti, quelle dellamicizia
virile di matrice hawksiana e quelle della dicotomia deserto/giardino
di fordiana memoria. Ed è nel giardino che questo lost
conclude la sua avventura: nel colloquio con la sua donna accanto ai
girasoli, nellemblematico inizio di una nuova giovinezza. Di una
nuova vecchiaia, per essere più precisi. Linfluenza civilizzatrice
della figura femminile (lunica donna del film e la chiave di volta
della storia: tutto orbita indirettamente e fatalmente intorno a Sue/Annette
Bening) lo attrae nel paradiso della stabilità e interrompe per
sempre e contro la sua volontà più intima il suo stile
di vita randagio. Lallevatore nomade sconfigge il monopolio del
mandriano stanziale, ristabilisce il nuovo ordine e si colloca nella
nuova dimensione sociale da lui stesso creata. Come il più affascinante
dei rivoluzionari che guida il golpe contro il tiranno. Come il più
attempato dei notai che fa rispettare le leggi e invoca il rispetto
e i diritti di tutti, forte dellappoggio della sua coscienza saggia
(Boss/Robert Duvall).
Il lost si inserisce nellEden, quello ideale e da
lui vituperato in partenza nel nome di uno squilibrio nomade perfettamente
agevole per chi rifiuta la fine della frontiera come sogno da inseguire
a prescindere. Per chi rigetta lidea stessa di regola da rispettare.
Anche se ciò significa solamente girare su se stesso e chiudere
gli occhi di fronte allevolversi della Storia, allavvento
della proprietà privata, alla fine del libero arbitrio.
Costner trascina il cowboy fuori dalla fossa, dunque. Ma non può
che sistemarlo ancora nei paraggi del cimitero, per un ultimo sussulto
di vita di un genere che sceglie di rivisitare con una nostalgia un
po cupa, ma appassionata. E sicuramente estranea al respiro epico
e allincedere dilatato del superprogressista Balla coi lupi.
Il primo ad essere cosciente dellinconsistenza della propria essenza
archetipica è il cowboy stesso. Scaraventato tra i luoghi deputati
del Far West, con tutto il suo bagaglio iconografico, con il mucchio
selvaggio dei conflitti interiori che non ce la fanno più nemmeno
a riflettere lottica evolutiva della Storia, non gli rimane che
lasciarsi attrarre dalla morte. Compiere, cioè, il suo dovere
primario e virile, quello della vendetta, per poi ritornare nella sfera
mitica del ricordo. Per questo sfida la Morte senza paura, sicuro di
perdere la partita. Per questo saluta la sua donna sperando di soccombere
nel duello finale (lui e il suo amico in pasto a una masnada di pistoleri).
Per lasciarsi immolare sullaltare del Mito. Ma la morte lo rifiuta
avendo in serbo per lui un destino diverso: la normalizzazione dellimpulso,
linibizione di ogni ispirazione randagia. Il cowboy di Costner
ricomincia dalla vecchiaia e dalla routine dellistituzione famigliare.
Ciò che nella storia del genere ha spesso coinciso con il punto
darrivo, dieci anni dopo Eastwood coincide con il punto di partenza.
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