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Star Trek Nemesis,
USA, 2003
di Stuart Baird, con Patrick Stewart, Jonathan
Frakes, Brent Spinner, Levar Burton, Michael Dorn, Gates McFadden, Marina
Sirtis, Ron Perlman, Tom Hardy, Dina Meyer, Kate Mulgrew
Star Trek La Nemesi è un prodotto seriale, perfettamente
inquadrato nella logica che porta sullo schermo cinematografico uno show
televisivo pressoché eterno, con un seguito sterminato e un impatto
cultuale che si può tranquillamente paragonare ad una particolare
filosofia di vita. Gli standard produttivi ed estetici dell'operazione
(e almeno delle ultime due prove su grande schermo relative a Star Trek,
ossia Primo contatto e l'Insurrezione) sono perfettamente
rodati e denunciano un affiatamento realizzativo che produce sempre del
buon intrattenimento, se si superano alcune costanti che ai non trekkers
- come chi scrive - risultano solo sbandamenti goffi o trash, come - nel
caso di La Nemesi - il matrimonio con cui inizia il film. Standard
che rappresentano inoltre un modello di cinema assolutamente peculiare,
di cui La Nemesi è un esempio perfetto. Gli sforzi economici
(in termini di effetti speciali ed efficacia della messa in scena) sono
concentrati, con puro spirito cormaniano, nel primo e nell'ultimo atto
del film, creando anche momenti ultracoatti e visivamente emozionanti
come la manovra che porta l'Enterprise a fare letteralmente un frontale
con l'astronave del malvagio Shinzon, per poi effettuare una non meno
interessante marcia indietro. L'urto spaziale è ripreso con un
ralenti e un'attenzione al dettaglio e all'illuminazione delle due astronavi
che restituisce pienamente senso all'aspirazione di realismo assoluto
del cinema americano, ultimamente un po' appannato dall'uso sfrenato e
spesso cheap dell'effetto speciale digitale. Il secondo atto di La
Nemesi è invece il trionfo di set ben illuminati ma sostanzialmente
molto poveri e sovrasfruttati, fondali dipinti che rivelano un po' troppo
sfacciatamente la loro natura (in un paio di sequenze sembra di essere
catapultati direttamente in un outtake di Balle spaziali) e una
regia illustrativa al limite della correttezza. Ma questo spirito da puro
b-movie gira su una sceneggiatura (di John Logan: il Gladiatore,
RKO 281, Ogni maledetta domenica) ben costruita sul tema
del doppio e che non soffre mai di cali di ritmo. Il tutto funziona come
un rodato meccanismo di intrattenimento seriale al quale bisogna concedersi
a cuor leggerissimo e senza nessuna pretesa. Una macchina atta a perpetrare
efficientemente il mito senza però che si ripieghi su s stesso
escludendo il potenziale pubblico "esterno".
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