|
Gegen die wand,
Germania, 2004
di Fatih Akin, con Sibel Kekilli, Birol Ünel,
Güven Kyraç, Catrin Striebeck
La sposa turca ha restituito dopo tanti anni lOrso
doro in mano tedesca, secondo una scelta di distensione interetnica
di correttezza politica ineccepibile. Più che affrontare la vita
degli immigrati in Germania e gli attriti ancora esistenti per una comunità
che pure ha radici molto salde, Akin sembra concentrarsi sulluniverso
turco in sé, mettendone a nudo due aspetti complementari: il
retaggio oppressivo della cultura religiosa nella famiglia di Sibel,
discriminata e vessata in quanto donna, e loccidentalismo superficiale
e vacuo della cugina di Istambul, che ospita la protagonista al suo
ritorno in patria. Sono i due poli entro i quali si consuma, in modo
violento, distruttivo, euforico, la storia damore di Sibel e Cahit
e la loro storia di singoli individui riluttanti a incasellarsi in un
gruppo sociale esatto, le cui solitudini finiscono inevitabilmente per
collimare e infine divergere. La denuncia sociale, che sembrerebbe aver
catalizzato lattenzione critica e mediatica, non assorbe però
lenergia più profonda del film e malgrado costituisca una
componente importante e amplificata dal significato politico del premio
berlinese, funziona piuttosto da innesco alla sua natura primaria di
melodramma sanguigno, palpitante.
Akin dimostra di conoscere le regole del genere, il suo carattere eccessivo
e squilibrato, e sa anche aggiornarlo con la giusta dose di ironia,
raffreddandone inoltre i picchi emotivi con gli intermezzi musicali
che puntellano la narrazione, secondo una strada già felicemente
battuta da due maestri del melò contemporaneo come Almodòvar
e von Trier. Ma la vera forza del film è nella sua capacità
di costruire due personaggi la cui discesa agli inferi, fatta di tentati
suicidi, droga, stupro, carcere, violenza, esilio, non ne intacca la
credibilità di esseri desideranti e passionali, lumanità
radicata che ne impronta anche le scelte più estreme, ai limiti
dellautodistruzione. La sposa turca appare come
un oggetto caldo, vibrante, rappresenta un cinema sempre più
raro fatto essenzialmente di persone e delle loro emozioni, a cui la
cinepresa, alternando con misura distacco e partecipazione, assicura
un dispiegamento di grande efficacia. La tradizione religiosa e lipocrisia
famigliare, che soffocano lansia di libertà di Sibel, rivestono
dunque innanzitutto il ruolo di contenitore e causa scatenante delle
disavventure della protagonista, del percorso consueto delleroina
vessata, capace in ogni caso di mantenere una sua personale integrità
interiore: la redenzione finale sarebbe lapprodo più probabile,
anche se stavolta suona piuttosto come una rinuncia, una nuova prigione,
quella di un quieto ordine borghese che ribadisce nuovamente il destino
di solitudine dei due amanti. Contro questultimo muro, parafrasando
il titolo originale, anche lo sfogo irruente della passione non può
nulla.
|