the Shipping News

La chiarezza dell'acqua
di Luca Persiani

 
  the Shipping News, USA 2001
di Lasse Hallstrom, con Kevin Spacey, Julianne Moore, Judy Dench, Scott Glenn


Nota: questo articolo contiene numerosi dettagli della trama del film, che è molto densa e piena di svolte. La lettura potrebbe quindi rovinarne la godibilità. Se non lo avete già fatto, andate al cinema e poi tornate qui.

La famiglia visionaria
L'acqua è uno schermo, una lente o un peso, e il cinema ci tiene a ripeterlo da sempre. L'acqua è qualcosa che altera, favorisce o schiaccia la qualità della visione. Dello spettatore e, quindi e anche viceversa, del personaggio. Quoyle (Kevin Spacey) ha problemi a vedere la sua vita da quando il padre l'ha gettato in un lago dal colore ambiguo, un po' azzurro un po' rosso, per imporgli di nuotare, imponendogli e condannandolo, invece, alla sua stessa, tragica e insensata visione della vita priva di speranza. Dal quel momento Quoyle percorre la sua esistenza sotto il pelo della coscienza, mentre l'acqua si increspa davanti a lui, legando e confondendo il suo percorso immobile, dove l'immagine e la giovinezza del protagonista si sciolgono in se stesse sino "alla soglia della maturità", in un eccezionale e puntualissimo utilizzo del morphing come perfezionamento del dispositivo della dissolvenza narrativa temporale. Dissolvenza narrativa che, a sua volta, si va a confondere con l'intuizione di una dissolvenza emotiva di grande incisione. Siamo negli stessi territori, anche se logisticamente opposti, del morphing finale che svelava la vecchiaia di Matt Damon in Salvate il soldato Ryan. Ma mentre lì il salto temporale portava ad una domanda che suonava più o meno: "la mia vita ha avuto senso?", qui si interroga su una non meno tragica constatazione di immobilità e di distanza rispetto al futuro: "la (mia) vita avrà senso?". Se il vecchio Ryan cercava il (giusto) conforto e amore nei ristretti limiti della sua famiglia per fronteggiare l'incomprensibile insensatezza della guerra e della vita, il "maturo" Quoyle tira le somme per progettare il futuro di una vita passata a tenere i sentimenti fuori portata secondo i dettami di una famiglia disillusa.
E, aprendosi in fine al mondo con la semplicità suicida di un bambino, in un attimo Quoyle si trova catapultato in un turbine emotivo da lui accolto con l'ingenuità della sua mancata maturazione psichica. Il protagonista si trova a voler creare una nuova "famiglia", ancora una volta insensata e necessaria. In questa seconda famiglia l'incatturabile elemento femminile Petal (Cate Blanchett) non è che un'invenzione di Quoyle (come nella prima l'unica voce riportata era quella maschile e la figura materna era assente dalla realtà), che però produce una cosa molto reale: una figlia. Questa famiglia non è che un'impossibile improvvisazione visionaria, una pre-visione inevitabile che apre le porte del viaggio dell'Eroe bambino nel suo passato, per colmare vuoti e raddrizzare storture, un eroe il cui obiettivo è riequilibrare il rapporto fra lui stesso e la realtà, attraverso l'amore e la morte. E' il primo atto della storia, quello più "girato" e denso, dove il regista Lasse Hallstrom concentra invenzioni visive, costruisce mirabolanti sintesi narrative e, soprattutto, disegna la peculiare temperatura emotiva del film attraverso la messa in scena di una serie di personaggi di estrema semplicità ma grande profondità, lineare riconoscibilità ma reale multidimensionalità. Ne viene fuori una sintesi speciale della avvolgente melodrammaticità de Le regole della casa del Sidro e della profondità appena sopra le righe di Chocolat, dove i volti e i corpi degli attori sembrano incarnare perfettamente l'intensa "linea chiara" delle personalità dei protagonisti, che sono insieme credibili soggetti di empatia quanto evidente frutto di un gioco narrativo. La limpidezza della visione di Hallstrom e dello sceneggiatore Robert Nelson Jacobs (che per Hallstrom aveva già adattato Chocolat) concede al film uno sguardo completamente privo di giudizio sui personaggi, senza che alle scelte di questi ultimi manchi la forza emotiva del coraggio, dello sbaglio o della cattiveria.

Mutilazioni e riconciliazione
La morte del primo assurdo amore non realmente ricambiato (o meglio, rapidamente ed unilateralmente esaurito) lascia in Quoyle un nuovo vuoto di senso, e porta ancora alla consapevolezza dell'inadeguatezza di un modello familiare scelto imperfettamente, immaturamente. Questo evento non fa che sottolineare un'altra inadeguatezza, quella della prima famiglia "naturale", occupata interamente dall'ingombrante ma sfuggente figura paterna, che non ha saputo preparare Quoyle alla vita. L'esaurimento di due nuclei imperfetti combacia con perfetto tempismo. Ma dalla morte scaturisce una prima rinascita. Dopo una serie di lutti simbolici (le rinunce psicologiche che l'hanno macerato per quarant'anni), l'eroe si muove spinto dall'ennesimo lutto non elaborato (la morte di Petal), questa volta anche reale: un amore che l'ha prima illuso di riparare a e poi ha aggravato le mutilazioni emotive che hanno bloccato la sua trasformazione in essere umano. Nel limbo della terra natia, nel gelo di una casa letteralmente ancorata a terra per resistere alle impossibili condizioni di vita del luogo, una casa simbolo assoluto del peso psicologico familiare, Quoyle si ritrova inavvertitamente a far combaciare queste mutilazioni con quelle di un'intera comunità, e in particolare di altre due donne: la zia Agnis (Judy Dench) e soprattutto la vedova Wavey (Julianne Moore), la cui esperienza, simmetrica rispetto a quella di Quoyle, è la testimonianza liberatoria della possibilità di un'evoluzione personale. Il protagonista si trova così a confrontarsi con una molteplicità di punti di vista che vanno a formare i due mondi che nella sua crescita sono mancati come equilibrato punto di riferimento: quello femminile e quello maschile, quest'ultimo incarnato dal gruppo di redattori-amici del giornale locale, fra cui spicca la figura paterna di Jack Buggit (Scott Glenn). E la fiducia in se stesso necessaria per fare i passi decisivi verso la riconciliazione con la propria storia e il proprio dolore, Quoyle la trova anche grazie alla scrittura all'interno del giornale. La pratica creativa che scopre di poter dominare è sottilmente narrata dal film come una specie di dialettica terapeutica con se stessi, la scoperta di poter essere che avviene grazie alla scoperta di saper scrivere. Questa suggestione letteraria è messa in scena con sottile ironia, inquadrata com'è nel contesto del minuscolo giornale di paese "The Gammy Bird" e nella necessità di creare notizie che siano contemporaneamente racconti: Quoyle vive il giornalismo senza problemi morali come un moderno sostituto della pratica del cantastorie, come dire dell'infotainment talmente provinciale da perdere qualsiasi caratteristica negativa (distorsione dell'informazione) per acquisire lo status di legittima operazione creativa.

Ibridazioni narrative
Questa visione è possibile anche perché tutto il film vive in una sfera narrativa mitica molto vicina a quella della favola, grazie anche alle caratteristiche velatamente parapsicologiche riguardanti la presunta veggenza di alcuni personaggi. E' un'atmosfera ibrida che somiglia a certe esplorazioni kinghiane o certi tentativi - decisamente più raggelati - alla John Sayles (vedi Limbo e Il segreto dell'isola di Roan), imbevuti di fascino fantastico ma con la forte necessità di raccontare con realismo nette ferite psichiche. Hallstrom riesce a condurre il gioco perfettamente, inventandosi un'originalissima e calibrata furiosità degli elementi tragici, che attraversano il paesaggio desolato di Terranova esplodendo fuori dai personaggi e provocando ancora morti, rinascite, tempeste inventate e reali, facendo cadere edifici, abbattere barche. E, soprattutto, creando situazioni e legami al limite della credibilità ma che risuonano incredibilmente di realtà e conducono alla commozione.
Personaggi e storie accumulano così con naturalezza una grande densità e stratificazione di trame e temi che accompagnano, come un controcanto, il plot principale relativo al percorso di Quoyle, andando a costituire una fluida coralità che raramente si è vista così strettamente necessaria al racconto. La precisione delle sfumature psicologiche dei protagonisti vibra nella semplicità di alcune intuizioni registiche e attoriali, tanto che i tre personaggi principali lasciano un'efficace caratterizzazione di se con la semplice cifra degli sguardi: contorto e rivolto su di se quello di Petal, aperto e rivolto oltre i bordi dell'inquadratura quello di Quoyle, intenso e fortemente centrato verso macchina da presa e spettatore quello di Wavey. Queste immagini dalla intensa efficacia iconica sono messe in scena in modo calibratissimo e partecipe, in un equilibrio tra personaggi e ambienti realizzato con poche e tempestive intuizioni ritmiche, spesso interne alla costruzione dell'inquadratura e sempre di una riuscita incisiva ma discreta.
Il tutto all'interno di una struttura narrativa solidissima e impeccabile, retaggio anche del romanzo di E. Anne Proulx (in Italiano tradotto come Avviso ai naviganti) da cui è tratto il film. E alla fine l'acqua che ondeggia, quella cade, quella in cui si cade, quella che provoca la morte, quella che battezza la nascita di un amore, quella dal colore ambiguo e quella limpida, si rivela testimone chiarificatore dello svelamento salvifico e doloroso del mistero del passato dei personaggi, e quindi di loro stessi.