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Grbavica,
Austria, Bosnia-Herzegovina, Germania, Croazia, 2006
di Jasmila Zbanic, con Mirjana Karanovic, Luna Mijovic,
Leon Lucev, Kenan Catic
Come tutti i maggiori festival cinematografici hanno saputo fare nel
corso del tempo, col passare delle edizioni anche la prestigiosa Berlinale
ha tracciato un suo riconoscibilissimo profilo estetico:
dunque, a vedersi premiati sono spesso film fortemente impegnati sul
piano sociale, caratterizzati da un valore umano sensibilmente predominante
su quello strettamente cinematografico. A Berlino linnovazione
formale, peggio se fine a se stessa, viene difficilmente riconosciuta:
lopera deve saper innanzitutto dar voce, nel modo più lineare
possibile, alla tematica sociale su cui sinnesta. Non stupisce
quindi che a fregiarsi dellOrso, questanno, sia stato il
lungometraggio desordio della trentaduenne bosniaca Jasmila Zbanic,
distribuito nelle sale come il Segreto di Esma, ma
intitolato in origine, molto più incisivamente, Grbavica,
dal nome del quartiere di Sarajevo teatro delle violenze più
atroci allepoca della guerra. Larea era infatti sotto il
controllo serbo-montenegrino e veniva usata come un terribile campo
di prigionia; e qui ebbe origine, più di dieci anni fa, la storia
di Esma, donna bosniaca che sconta sulla propria pelle, ancora oggi,
le violenze e le torture di tanto tempo prima. Il film ci racconta la
protagonista come una persona tra tante, con tre lavori e una figlia
dodicenne da mantenere: unesistenza dolorosa, segnata irreversibilmente
da un dramma che è un fantasma impossibile da rimuovere; a Grbavica
le strade sono piene di fantasmi, ed Esma dovrà incontrare ancora
il proprio. Stavolta il confronto sarà decisivo, e forse liberatorio.
Tutti daccordo, i giurati della 56° Berlinale, nel premiare
il coraggioso esordio della Zbanic, amato anche dal pubblico
al punto da scalzare dal gradino più alto uno come Michael
Winterbottom, pupillo del festival tedesco e pronosticatissimo
vincitore, col suo the Road to Guantanamo. Merito dello
stile asciutto e assolutamente privo di orpelli della giovane bosniaca,
che non soffoca la storia cercando anche di fare cinema,
e lascia che il dramma emerga quasi spontaneamente. Il conflitto rimane
totalmente sullo sfondo, e la macchina da presa privilegia la vita di
tutti i giorni, con i suoi piccoli episodi e i suoi tempi morti; particolarmente
delicato il ritratto di Sara, la figlia dodicenne di Esma, quasi la
vera protagonista del film: alle prese con una fase della vita già
di per se stessa complicata, la giovane ragazza dovrà confrontarsi
con una terribile verità, tanto più atroce in quanto legata
alla figura del padre, martire di guerra, il cui valoroso ricordo è
per lei desempio e fonte di coraggio nella difficile vita quotidiana.
Entrando in territorio più cinematografico, ciò che ci
lascia perplessi di Grbavica è proprio lassenza
di un personale occhio registico: della storia di Esma commuove la dimensione
umana, veicolata con autenticità dalla Zbanic, ma nulla di più.
Eppure abbiamo visto come sia possibile fare grande cinema senza contaminare
la purezza del valore sociale: si pensi al lavoro dei fratelli Dardenne,
o a quello di Mike Leigh. A Grbavica, invece - ma crediamo
che la giovanissima autrice avrà modo di crescere - mancano sia
la rivoluzione formale degli uni che il vigore narrativo dellaltro.
Resta, terribile e purtroppo irriducibile, la verità di una dramma
ancora attuale nella vita di molte persone.
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