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Italia, 2004
di Francesco Munzi, con Mishel Manoku, Xhevdet Feri,
Lavinia Guglielman, Anna Ferruzzo
Presentato al festival di Berlino nella sezione Kinderfilmfest, ha ricevuto
il premio De Laurentiis per la Miglior Opera Prima alla 61ma Mostra
di Venezia del 2004: Saimir è un esordio registico
meritevole di grande attenzione perché pone delle domande e lo
fa con un realismo e unasciuttezza che risveglia gli animi e le
menti, anche di chi crede che quelle domande non lo riguardino.
Saimir è un ragazzo di 16 anni, è albanese e guarda tutti
noi negli occhi. Vive con suo padre Edmond nella fatiscente periferia
laziale tra Ostia, Fregene e Torvaianica. Su un vecchio camion padre
e figlio imbarcano e trasportano una merce illegale: connazionali albanesi
che cercano la felicità in Italia, una specie di terra dellabbondanza,
completamente idealizzata. Ladolescenza di Saimir sembra essere
stata compromessa per sempre dalla condotta del padre (magnificamente
interpretato dallattore albanese Xhevdet Feri) e dallo squallido
universo che lo circonda: ha lo sguardo freddo e lindifferenza
del criminale mentre aiuta il padre a trascinare via un derelitto umano
da un alloggio e a buttarlo tra la spazzatura, ma è solo rabbia
e insofferenza.
Il rapporto di antagonismo del protagonista con suo padre è il
primo piano narrativo su cui è giocato il film; ce nè
un altro: quello sociale. I due livelli hanno pesi compositivi diversi
(prevale il primo sul secondo in uno sbilanciamento che danneggia in
parte la struttura) e non interagiscono tra loro se non marginalmente;
eppure sarà attraverso il fallimento della vita sociale che Saimir
capirà di dover troncare anche il suo rapporto col padre, marcio
e pregiudicato. Quel destino segnato da ereditare, lui lo
rifiuta, cerca la propria strada. Lo spettatore segue Saimir nei suoi
vagabondaggi in motorino, nei suoi furtarelli con un compagno rom. Nessun
amico vero, nessuno scambio: lunico sorriso Saimir lo offre e
lo riceve da Michela, una ragazza italiana che rappresenta quella normalità
tanto agognata. Il sogno dura poco, il tempo di un bagno al mare e una
corsa in motorino. Poi lei comprende la voragine che cè
nella vita di Saimir e lo rifiuta. La sequenza della scenata nella classe
di Michela ha una grande forza espressiva: con la rabbia il protagonista
cerca di abbattere il muro dellindifferenza sociale, della discriminazione
e la macchina da presa prende le sue difese, si identifica con lui senza
provare pietà o compassione. Vede solo attraverso i suoi occhi
profondi, avidi di vita e di libertà.
In molti passaggi nella mano registica di Munzi si intravede lesperienza
documentaristica fatta in attesa di ottenere i finanziamenti dellArt.
8. È lo stesso regista a raccontare lincontro quasi quotidiano
e lamicizia con una famiglia rom, la voglia di raccontare i rapporti
generazionali tra padri e figli, il fallimento di un progetto che non
si è mai concretizzato in quella forma, ma ha assunto le fattezze
di un lungometraggio per il cinema. Munzi fa un gran regalo a quella
comunità rom con una sequenza estremamente bella che li racconta,
una sorta di cameo, di film nel film: il furto nella casa dei ricchi.
Si percepisce prima unaccelerazione e poi un rallentamento: al
caos rumoroso dellintrusione segue il tuffo al ralenti
del ragazzino rom nella piscina. La musica di Vivaldi che lo commenta
aumenta il gradiente di drammaticità e offre lappiglio
per una lettura simbolica che esce dal feroce realismo, anche sonoro,
del resto. Toccare tutti gli oggetti, appropriarsi delle foto di persone
sorridenti incorniciate nellargento, tutti gesti che sfociano
nel desiderio di tuffarsi in quella felicità, assaporarla solo
per qualche istante per poi tornare infreddoliti al campo, con pochi
spiccioli.
Fino a quel momento e dopo di esso, il film segue uno stesso ritmo,
scandisce i respiri silenziosi dei personaggi intervallati da esplosioni
musicali (bella la musica originale di Giuliano Taviani) con i tempi
e i modi di un pedinamento che in alcuni casi indugia troppo, ma in
cui il mezzo del racconto si fa tuttuno col protagonista e col
suo mondo. La preferenza del suono in presa diretta in fase di montaggio
ha servito questesigenza, così come limpopolare scelta
della lingua originale.
Saimir vuol dire il giusto in albanese. Il senso
di giustizia lo ha costretto a difendere una minorenne sicuramente destinata
alla strada e a denunciare una vita infernale tra i lividi e acquitrinosi
paesaggi di una trasfigurata periferia marittima.
I colori della fotografia curata da Vladan Radovic raccontano magnificamente
lo squallido cosmo in cui si aggirano i veri protagonisti del mondo
della prostituzione e del traffico di uomini. Queste atmosfere e questi
gesti ricordano alcuni personaggi della letteratura pasoliniana, la
sua scrittura straniante che ostacolava il sentimentalismo e lidentificazione
del lettore: un legame intellettuale non esplicitato né denunciato
come modello di riferimento, eppure disciolto in queste immagini migranti
e salate. Munzi dimostra di avere una poetica originale, seppure ancora
un po caotica e lacunosa nella forma espressiva, che va a toccare
e smuovere il nostro rimosso. Per questo speriamo che venga premiato
dal pubblico nelle sale per segnare una nuova rotta del cinema italiano.
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