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S1m0ne, USA, 2002
di Andrew Niccol, con Al Pacino, Katrine Keener, Winona
Ryder, Elias Koteas
L'alibi della favola è una trappola mortale per chi è
a corto di idee. La patina di finzione sospesa sulla realtà può
essere usata per giustificare una costruzione drammatica confusa, una
premessa incerta e dei personaggi assolutamente privi di fascino: è
proprio questo, in sintesi, il problema di S1m0ne. Il primo punto
che cede sotto il peso di un concept troppo ardito e troppo poco lineare
è proprio uno di quelli in cui lo sceneggiator-regista Andrew
Niccol sembrava possedere più talento: la scrittura. Al pacino
è un regista più confuso che fuori moda, più presuntuoso
che bravo, più fallito che incompreso: i frammenti dei suoi film
paiono insensate parodie involontarie di un cinema "europeo"
di stampo kieslowskiano. Non ne capiamo il senso né il talento.
La sua necessità cassavetessiana di un ambiguo rapporto diretto
e manipolatorio, ma al contempo libero, fra regista e attori, tutto
in nome di un realismo assoluto, crolla miseramente difronte alla possibilità
di avere un burattino digitale. Dov'è la verità del rapporto
umano, la creatività che si sviluppa nel confronto di idee quando
puoi muovere da solo tutti i fili? Questa contraddizione è inspiegabile
anche e più quando i film con protagonista il simulacro Simone
hanno un grosso successo di pubblico: come hanno fatto gli spettatori
a superare il limite di una messa in scena che hanno rifiutato fino
a poco fa, per adorare un attore finto? Non che la cosa non sia plausibile.
Piuttosto non è credibile. Niccol ci chiede fiducia totale nella
nuova invenzione del personaggio di Pacino, una diva digitale dal fascino
ipnotico. Ma Simone non ha nulla di tutto questo. In Truman Show
la vera, profonda intuizione era nel fatto che gli spettatori del film
sarebbero potuti essere anche spettatori del (non troppo) fittizio programma
televisivo. La materia era fonte di fascino e critica, due elementi
legati indissolubilmente. S1m0ne chiede la stessa partecipazione,
ma non fornisce la stessa capacità di affabulazione. Anzi, il
film sembra non credere per primo al suo stesso progetto, al punto che
il trailer italiano suggerisce subdolamente una cosa che nel film non
c'è: l'acquisto di una coscienza indipendente di Simone e la
sua ribellione al creatore. Nel film tutto quello che vediamo è
un regista egomaniaco con pulsioni transessuali che affonda in una meritata
crisi creativa e viene salvato da una famiglia disgregata che, misteriosamente,
si ricompone. Tanto misteriosamente quanto la figlia di Pacino riattiva
con facilità sconcertante il complicatissimo programma di simulazione
di Simone, dopo che questo era stato distrutto da un virus informatico.
A questo punto nulla ci interessa di personaggi o storia, e siamo un
po' irritati da un regia decisamente piatta e confusa, forse sintomo
di una troppo definitiva identificazione di Niccol col protagonista
del suo film. Annoiati da un cinema baro che simula una temperatura
drammatica che non ha, abbiamo abbandonato ogni sospensione dell'incredulità,
e la storia del successo (fittizio) di Simone sembra solo un raccontino
stinto col sapore di apologo intellettuale, senza spiegazione e necessità.
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