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Italia, 2006
di Mario Monicelli, con Michele Placido, Giorgio Pasotti,
Alessandro Haber
Il titolo di questa recensione si riferisce alla doppia natura che,
per quanto possiamo immaginare, ha portato alla realizzazione di un
simile progetto cinematografico: in principio possiamo immaginare ci
sia stata la nobiltà di un grande come Mario Monicelli, che nel
romanzo Il deserto della Libia di Tobino e nel brano Il
soldato Sanna di Fusco ha trovato un possibile spunto per tornare
a fare il cinema che predilige, quello sulfureo ed irridente dei suoi
tempi migliori. Raccontare la storia italiana per metterne in risalto
le contraddizioni del passato, ed attraverso esse le ipocrisie del presente.
La miseria purtroppo risiede invece in tutto quello che è successo
dopo, e che ha portato ad una pellicola di bassissima qualità
tecnica ed artistica, che contiene al suo interno momenti che sfiorano
addirittura il limite dellimbarazzo.
In alcune situazioni, in qualche spunto comico-amaro, nelle sfaccettature
disincantate di un paio di personaggi si può ancora intravedere
quello che avrebbe dovuto essere lo spunto originale dellautore:
soprattutto il frate di Michele Placido sembra essere quella figura
di un tempo andato, solida e pragmatica, uscita fuori da unidea
di cinema in cui si lavorava secondo il principio di pane al pane
e vino al vino. Schiettezza, sincerità, vivacità
e sano gusto provocatorio sono doti innate che da sempre appartengono
a Monicelli, e che anche ne le Rose del deserto fanno
capolino dietro la massa immobile di brutto cinema che le ricopre.
Lerrore a monte di questa pellicola sta nellevidenza esplicita
dello scetticismo verso lopera stessa, a cui è seguita
lipocrisia dellappoggio: ed ecco perciò ritardi nella
pre-produzione, difficoltà nella lavorazione, e soprattutto un
evidente ed increscioso scompenso tra le necessità economiche
del film ed il budget con cui è stato messo in lavorazione. le
Rose del deserto soffre infatti di una povertà interna
che ne mina fin dal principio ogni possibilità di successo: scenografie
inesistenti, costumi alla meglio arrabattati, mancanza assoluta di mezzi
a disposizione, ed unapprossimazione complessiva che risulta davvero
irritante. In troppi momenti del film sembra addirittura che il regista
non abbia avuto il tempo di girare le inquadrature necessarie, ed ecco
perciò scene che sono una serie ininterrotta ed avvilente di
totali scarni, ineleganti, rabberciati. Come è possibile avallare
un progetto come questo senza poi avere il coraggio o semplicemente
la lungimiranza di favorirne il corretto sviluppo? Se, come abbiamo
ipotizzato, la radice dei problemi de le Rose del deserto
sta negli errori produttivi, questa pellicola può essere purtroppo
presa come ennesimo atto scellerato di un sistema che proprio non vuole
saperne di pianificare e lavorare in modo organico e coerente.
La stellina di consolazione che abbiamo scelto di assegnare non va tanto
al pessimo film, ma a Mario Monicelli, che alla veneranda età
di 91 anni ha dimostrato ancora una volta il pregio/difetto di essere
un regista ostinato. Visto il vergognoso ostracismo che la sua idea
ha evidentemente incontrato, potrebbe essere un non inutile - e comunque
umile - consiglio quello di ritirarsi e lasciar perdere unindustria
(ah, ah, ah
) che lo ha estromesso. Lesempio da seguire potrebbe
essere quello del maestro della commedia in assoluto, Billy
Wilder, il quale avendo capito che ad Hollywood non cera più
spazio per lui ha smesso di fare cinema ed è campato godendosela
a rompere i coglioni al sistema per quasi altri ventanni: noi
già immaginiamo un Mario sarcastico, sferzante e schierato contro
lo status quo culturale/cinematografico che vige in Italia.
Visto come siamo messi, hai voglia a divertirsi
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