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The Rules of Attraction,
Usa, 2002,
di Roger Avary, con James Van Der Beek, Shannyn Sossamon,
Jessica Biel, Faye Dunaway
Cè solamente una sequenza allinterno dellinutile
e insensato Le regole dellattrazione che riesce
a sfiorare lintuizione formale e il cinismo sociopsicologico (e
politico e umano) percepibile nellomonimo romanzo di Bret Easton
Ellis. Precisamente la sintesi serrata che descrive il vagabondare frenetico
per lEuropa di Victor, personaggio altresì assente dal
testo filmico laddove appariva come unintermittenza impazzita
nel libro e figura complementare alla stasi emotiva e fisica di Lauren,
la sua fedele fidanzata del Camden College che si mantiene casta e pura
proprio in attesa del ritorno del boyfriend (che impegnato in un arrapante
festino con due coetanee nude nemmeno riconosce la ragazzetta ancora
immacolata che viene a bussare innamorata alla sua porta).
Tutto il resto è la dimostrazione emblematica di un progetto
sbagliato (in buonafede) e ruffiano (in malafede) che strapazza a tal
punto il testo alla sua fonte da trasformarlo in un futile, ennesimo
teen movie assolutamente privo di qualsiasi briciola eversiva. Ciò
non sarebbe peccato mortale se la campagna pubblicitaria con slogan
di lancio annessi e connessi non lo presentasse proprio in quanto tale.
E con laggravante di cinetrasportarlo al di fuori della collocazione
datagli da Ellis: gli anni ottanta, vistivissutisniffatibevutispompinati
in presa narrativa diretta (il libro è del 1987) e elemento storico
imprescindibile del flusso torbido in cui nuotano a braccetto anche
la tecnica narrativa e il forte contenuto destabilizzante. Nonché
lessenza stessa del plot architettato fondamentalmente sulla sospensione
del (non) senso. Perché è questa serie di aderenze, di
felici intuizioni concatenate e ripetute a far girare il motore-romanzo.
E a mandare in panne il bidone-film.
La questione è la solita, e il rischio è subordinato alla
questione: è lecito, cioè, omettere, da unangolazione
critica, qualsiasi riferimento al romanzo in nome e in lode di una forma-film
che per definizione e rispetto dovrebbe essere analizzata indipendentemente?
La risposta, in questo caso è no! Proprio in virtù della
ruffianaggine suddetta che sembra aver fatto proseliti al di là
della Manica e dellAtlantico sfruttando il traino del romanzo
di Ellis (lautore di American Psycho).
Quindi il film di Roger Avary merita di essere soppesato sulla base
delle deficienze e delle assenze mettendo sullaltro piatto della
bilancia il romanzo dello scrittore americano.
Perché Bret Easton Ellis riesce a fornire al lettore onnisciente
un caleidoscopio di punti di vista che chiariscono e rafforzano la promiscuità
dei corpi e lanonimato delle anime e delle personalità
allinterno del college, mediante un rigoroso e calcolato metodo
di ripetizione e ritualizzazione degli atti che traducono con tutte
le loro intermittenze i vampireschi istinti carnali espressi da un costante
cortocircuito di sensazioni, frustrazioni e repressioni. Un aspetto
mancante nel film di Avary (che risolve lidea di racconto di Ellis
con un procedimento didascalico e infantile che vede lazione interrompersi
e rewindare fino a farla iniziare daccapo nella soggettiva
di un altro personaggio). Come non cè traccia del collante
invisibile che cementa i personaggi del libro: la fuckability
come unico e solo criterio di comunicazione con laltro, al di
là dei gusti sessuali. Il pensiero ossessivo del sesso è,
insieme alluso smodato di qualsiasi tipo di sostanza da sballo
(dalla cocaina alla birra sgasata) il carburante essenziale che muove
le non-vite dei corpi di questi figli di papà/fratelli di yuppie
che deambulano in un perenne blackout del pensiero.
In Avary invece registriamo solamente sprazzi ingiustificati e stereotipati
di logorroiche scariche di rabbia senza quella caricaturizzazione volontaria
(dello stereotipo), senza quel senso della deformazione portata allestremo
che permea il libro di Ellis conducendolo a vette di inusitato realismo.
Per non parlare del blando incedere di un film che non restituisce affatto
(esclusa la sequenza suddetta) il vertiginoso mostrarsi dellautodistruttività
nella frenesia di un quotidiano girare a vuoto.
Ellis calca, ripete, ritualizza, insiste, distorce e deforma.
E ancora e ancora daccapo: perché è nella reiterazione
delle azioni che spunta fuori lanima nera egocentrica immorale
e gelida dei suoi benestanti privilegiati figli di papà e di
puttana.
Avary invece riduce il tutto a una storia già vista, mentre sarebbe
il modo di raccontarla a renderla originale e brutale.
È una semplice questione di ritmo.
Rock and Roll!
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