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The Quiet American,
Usa, 2002 di Phillip Noyce, con Michael Caine, Brendan
Fraser, Do Thi Hai Yen
I primi anni cinquanta costituiscono un momento storico cruciale per
il Vietnam e per la politica estera degli Stati Uniti.
La fine della guerra in Corea a veva diretto lattenzione nel sud-est
asiatico, dove i francesi erano impegnati a controbattere le folate
nazionaliste condotte dal comunista Ho Chi-Minh. Una guerra di stampo
coloniale, che avrebbe presto visto i francesi sonoramente sconfitti,
si stava gradualmente trasformando in una crociata anticomunista che
spinse gli americani ad un convinto impegno economico, strategico e
militare.
Nel giro di pochi anni, successivamente alla divisione tra Vietnam del
Sud e Vietnam del Nord, si sarebbe dato inizio al conflitto più
famoso della storia del cinema.
Un breve e ahimè poco esaustivo sommario del quadro storico-politico
che in quegli anni intrecciava Europa, Asia e America è opportuno
per valutare la collocazione suggestiva di un melodramma a tre che frana
in una spy story corriva spremuta maldestramente da Phillip Noyce dalle
pagine di un semiautobiografico romanzo di Graham Greene.
Abituati ad essere immersi nel caos apocalittico ed enfatico della sporca
guerra còlta nel suo farsi, un Vietnam così felicemente
fotografato (da Cristopher Doyle, abituale collaboratore di Wong-Kar
Wai), in un momento storico di tesissima stasi avrebbe potuto fornire
veramente la solida base per un intenso intreccio di generi (melodramma
e spy, appunto). Con la possibilità di avvinghiarlo attorno al
robusto cordone costituito dallamicizia virile che nasce tra Thomas
Fowler (Michael Caine, reporter inglese in trasferta, ormai stabilitosi
da anni a Saigon, con tanto di segretario e amante autoctona) e Aldon
Pyle (Brendan Fraser, medico americano che agisce dietro le tende degli
ospedali da campo e sotto legida della Cia).
La resa fotografica di un Vietnam paludoso fin dentro le mura domestiche,
intrappolato nel bivio tra un passivo regime di decadenza, le sollecitazioni
rivoltose di Ho Chi Minh da una parte e la tutela americana dallaltra,
è di folgorante e suadente efficacia . A supporto delle atmosfere
offuscate dai vapori delloppio e velate da un senso atavico di
sottomissione, agisce il volto di un Caine perfetto nellinterpretazione
di un giornalista , fiero custode di un conservatorismo personale, di
uno stile di vita acquisito che proietta e sfoggia per mezzo della sua
giovane e attraente amante vietnamita, Phuong.
Il problema consiste nel fatto che è riscontrabile molta più
vita, e azione, e suggestione nella staticità degli scorci asiatici
che nei rapporti tra i personaggi o nella dinamica dellintrigo
politico.
Per tutto il corso del film, inoltre, se da una parte risulta oppressivo
il peso della situazione storica di cui si intuisce solamente la rilevanza,
dallaltra Noyce sceglie di non fornire alcun tipo di delucidazioni
in merito.
Lungi da qualsiasi necessità di narrazione didascalica, una volta
che, a posteriori, ci si accorge della latitanza e della piattezza di
un triangolo amoroso fin troppo segnato dalla lealtà maschile
e dalla passività femminile, e allo stesso modo di un risvolto
spionistico affrettato, la domanda da porsi è: non sarebbe stato
conveniente direzionare lo spettatore anche negli aspetti storici una
volta presa la decisione di appesantire la narrazione con una voce off
e per di più a partire da un flashback, palesemente incappottato
da falsa pista?
Tanto più, che il finalè è completamente dedicato
ad una carrellata di titoli di prime pagine dei giornali che riassumono
la concitata escalation degli eventi futuri, con lo scoppio della crisi
acuta nel sud-est asiatico e il conseguente, sanguinoso conflitto che
vide migliaia di soldati statunitensi in campo contro lo spettro del
comunismo.
Si tratta, a quel punto, di una corsa ai ripari incoerente, una sorta
di pentimento in extremis che finisce per essere unaggravante
di un congegno registico già asfittico e macchinoso, per troppo
a lungo inchiodato sullesibizione di un dramma dellantigelosia,
e imperniato sulla facile metafora donna-Vietnam, con Phuong divisa
tra il fatalismo conservatore dellinglese Fowler, e le chimere
protettive dellamericano Pyle.
A riempire le aree di due triangoli sovrapposti (uomo-donna-spasimante
luno; Europa progressista-Vietnam-America interventista laltro)
troviamo la contrapposizione tra due differenti ragion di stato.
Mentre Pyle agisce con in mente un ampio e machiavellico disegno politico
che ha come obiettivo smorzare le raffiche comuniste interne, Fowler
ha una sua ragion di stato personale che alla fine farà convergere
con quella degli scagnozzi di Ho-Chi Minh perorando la loro causa con
la propria complicità.
Ma, come la storia avrebbe dimostrato, il suo è solo il gesto
di un singolo che tiene alla custodia di un suo Vietnam esclusivo: crudele,
romantico, indifeso ma combattivo, in cui vivere serenamente un attempato
declino.
A parte lostentata esibizione di unambiguità che
tale non è, legata al rapporto a tre giocato a carte scoperte,
le intenzioni di Phillip Noyce di tessere il melodramma alla spy story
rimangono, per così dire, in punta di penna, dimostrando
come sia arduo tradurre in una coerente e vivace narrazione cinematografica
la pur eccellente materia di partenza, e lasciando, involontariamente
e fortunosamente, a Doyle e Caine, la gestione totale delluniverso
profilmico. Ma se da un lato il lavoro di entrambi riconsegna alla decenza
un film sbagliato, dallaltra, mette ancor più in risalto
lapprossimazione di una regia monotona e dispersiva.
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