|
Parfum,
Francia / Spagna / Germania, 2006
di Tom Tykwer, con Ben Whishaw, Alan Rickman, Rachel
Hurd-Wood, Dustin Hoffman
Mi sia concesso, per una volta, di partire dalla fine.
Quando Dioniso regnava incontrastato e le baccanti, in orgiastici deliri
amorosi, sbranavano chi si opponeva al loro dio - perché non
ne riconosceva la grandezza - la catarsi assolveva attori e spettatori,
partecipi del mito comune. Oggi, a distanza di secoli, è difficile
non farsi sfuggire un sorrisetto di fronte alle masse correttamente
istruite da La Fura Dels Baus, che vorrebbero imitare le libertà
concesse agli iniziati ai Misteri Eleusini e sembrano, invece, la caricatura
dei libidinosi protagonisti de Il demone sotto la pelle
di Cronenberg - privi però del suo sguardo cinico e demistificante
su una società in disfacimento.
Ma torniamo indietro, risaliamo alle fonti.
Sebbene il romanzo da cui è tratto il film - ci assicura la produzione
- sia riuscito a passare per un libro iniziatico ai misteri dellanimo
umano e
delle essenze profumiere - dove lodore è
fonte di individualità e, nel contempo, mezzo di riconoscimento
per i propri simili, capace di suscitare odi e amori improvvisi in tempi
in cui non si conosceva il potere dei feromoni
- il film pecca
proprio per la sua incapacità di trovare la giusta misura tra
alto e basso, aspetto filosofico e indagine criminale, estasi e orrore.
Mentre ne Il nome della Rosa - non citazione a caso,
visto il produttore comune - la sceneggiatura riesce a bilanciare con
sagacia lo spazio dedicato alla disputa teologica - ridotto rispetto
al romanzo - con quello riservato alla detective story - cospicuo e
sorretto da una grande interpretazione di Sean Connery, circondato da
attori affiatati e in parte - Profumo è pellicola
sbilanciata che riduce il rapporto vittima-carnefice a una sequenza
di rapimenti/cadaveri/boccette di vetro, mentre la parte del leone è
affidata al nez e alla sua scoperta delluniverso degli odori e
delle essenze.
Purtroppo, ogni arte è legata a un senso specifico: la cinematografia
è arte del movimento goduta con il cervello, attraverso la vista.
Comunicare le sensazioni olfattive attraverso le immagini è quasi
impossibile. Lunica soluzione che sceneggiatore e regista avrebbero
potuto trovare è, rispettando le regole che sottostanno alleconomicità
di un film, privilegiare lazione rispetto alla parola, oltre che
favorire lidentificazione dello spettatore con il protagonista
- perché solo grazie a tale rapporto di
empatia è possibile per lo spettatore provare le medesime sensazioni
degli attori sullo schermo.
Al contrario, le riprese - dal primo piano alla panoramica - spesso
si sfogliano come aride foto di moda. Regista e direttore della fotografia
sembrano immemori della lezione del Tom Jones - dove
il duetto erotico-gastronomico di Albert Finney e Joan Greenwood era
condotto da mani unte che toccavano, maneggiavano, staccavano la carne
dalle ossa, in unorgiastica esaltazione dei piaceri terreni -
o de Il cuoco, il ladro, sua moglie e lamante
- dove la scenografia surreale esaltava il binomio cibo-corporalità
fino a produrre nello spettatore la sensazione olfattiva della carne
umana bruciata, in un altro rito antropofago, di ben diverso spessore
e consistenza materica.
No, gli odori e i profumi non si possono far sentire semplicemente inquadrando
un naso che aspira avidamente o riprendendo dallalto un campo
di fiori di lavanda.
Mentre la computer grafica riusciva, anche grazie alla scelta di scenografie
surrealiste e interventi sui colori e le focalità, a trasportare
gli spettatori del Vidocq di Pitof allinterno
della pellicola, dove la profondità di campo produceva unimpressione
di tridimensionalità partecipata, in Profumo
ogni scelta - dalla pesantezza della sceneggiatura, allinterpretazione
macchiettistica di Hoffman, dallinespressività del protagonista
alla superficialità delle riprese - porta come inevitabile conseguenza
lallontanamento dello spettatore dalla materia trattata e linevitabile
sbadiglio, prima del sorrisetto finale.
|