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id, Francia,
2003
di Claude Miller, con Ludivine Sagnier, Benard Giraudeau,
Nicole Garcia, Jean-Pierre Mareille
Il narcisismo e la nostalgia. Il narcisismo delle proprie riflessioni
intellettuali sullannosa questione del rapporto tra arte e vita;
e la nostalgia accecante che il ricordo di tali riflessioni suscita
tanto da sentire la necessità di rappresentarle pur sapendo di
partire sconfitti in partenza. Di dover inevitabilmente pagare dazio
a quello squilibrio tra due amanti (la vita e larte appunto) che
cercano invano di riflettere luna nellaltra le proprie imperfezioni.
Questo, in parte, è il senso di La Petite Lili
che partendo dalle solide fondamenta fornite da Il gabbiano di Chechov,
si lascia accompagnare dallo spirito guida di Truffaut e del suo Effetto
notte per risollevare in modo nudo e crudo (anzi infagottato
e stracotto) una serie di ragionamenti ontologici che credevamo ormai
in letargo, almeno secondo canoni così didascalici e diretti.
È un gioco di seduzione intellettuale irreprensibile quello messo
in piedi da Miller: talmente sovraccarico di giustezza filosofica,
di puntualità e simmetria registica da risultare impermeabile
a qualsiasi critica formale e contenutistica. Se non fosse per quellassenza
totale di un filtro autoironico, di un minimo scarto che possa incrinare
almeno una delle innumerevoli scatole cinesi che lo costituiscono.
Se non fosse cioè per lassenza di un qualche frammento
di vita non per forza rappresentabile che sbuchi involontariamente fuori
da un bunker che tutto contiene e trattiene senza possibilità
di scampo.
Miller descrive nel suo film lintransigenza di un destino, quello
riservato agli artisti condannati a trasmettere nelle opere darte
la loro esperienza di vita, ossessionati dal dover riunire i lampi dellesistenza
in un fascio di luce che illumini il ricordo di un momento passato.
E ogni frammento di dialogo, ogni respiro narrativo notifica con il
massimo della trasparenza possibile questa condanna inseguendo stoicamente
e a volte con successo quel tocco rohmeriano capace di inscenare in
una rapida intuizione la commedia della vita (e dellarte, va da
sé
), magari imprigionandola nella dicotomia di due mondi:
quello dei giovani e quello dei vecchi con le loro risapute dinamiche
di attrazione e repulsione, di ribellioni rabbiose e di rifiuti.
La piccola Lili si muove tra questi due mondi, vittima e carnefice delle
azioni di adescamento che ogni universo riversa sul suo contrario: è
lei ad incarnare esattamente il disagio di chi insegue senza fortuna
la collocazione opportuna e definitiva, di chi cioè agisce sempre
in direzione di un passaggio da un opposto allaltro: dalla vita
allarte e viceversa, dal mondo confuso e vitale dei giovani a
quello conservatore e moribondo dei vecchi.
Un obiettivo irrealizzabile il suo, che sfugge a quel controllo che
lei stessa auspica e che la riporta a desiderare di rappresentarsi per
rivivere con nostalgia il momento in cui sognava di essere quello che
è successivamente diventata, accorgendosi però delle incompletezze
e delle mancanze insite in ogni passaggio e in ogni nuova collocazione,
in un tragitto di andata e ritorno che la rende completamente estranea
agli altri. Un personaggio di mezzo che forse sta lì
a raffigurare quella sottile differenza esistente tra la vita che può
essere rappresentata e la vita che sfugge al desiderio di disciplina
di ogni velleità artistica.
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