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Brooklyn, 1988. Due fratelli festeggiano:
Bobby (Joaquin Phoenix) è il direttore di un night club i cui
affari vanno a gonfie vele, Joseph (Mark Wahlberg) è appena diventato
agente della polizia di New York. Il primo, ribelle e insofferente nei
confronti delle autorità, quasi senza saperlo si è affiliato
ad una organizzazione criminale che fa capo ad una famiglia russa e
che traffica in enormi quantità di cocaina; il secondo si accinge
a combattere proprio quel tipo di delinquenza con la quale Bobby ha
deciso di incrociare il proprio destino. Non corre buon sangue tra i
due fratelli, benché sia lo stesso, e lantagonismo che
li divide è metafora dolorosa di quello che spacca in due la
Grande Mela, tra la metà che con difficoltà sceglie di
vivere secondo la legge e la metà che quella legge decide di
scavalcare, con tutti i rischi che comporta. A mediare tra i due fratelli
cè il padre (Robert Duvall), che in quanto capo della stessa
polizia della città la sua scelta lha fatta decenni addietro,
ma che non ha mai smesso di amare entrambi i figli, per quanto questo
sia complicato e lacerante. Bobby si muove in pericoloso equilibrio
tra queste due realtà, non essendo di fatto un criminale, ma
piuttosto essendo attratto dalla bella vita che gli viene offerta dal
suo lavoro e dalle sue dubbie amicizie: ha una donna dalla bellezza
mozzafiato (Eva Mendes), trascorre le sue nottate tra un festino e laltro,
è conosciuto, è rispettato, ha quello che gli americani
chiamano sway. Non sa che il padre ha ragione quando lo ammonisce
che cè una guerra in corso, e che presto dovrà scegliere
definitivamente da che parte stare. La guerra inizierà con la
retata del fratello proprio nel locale che Bobby gestisce, a caccia
di un pericoloso criminale russo, legato alla famiglia che il giovane
pare aver scelto come putativa. E Bobby farà, appunto, la sua
pericolosissima, difficile scelta, allinsegna della vendetta e,
finalmente, dellamore per la famiglia.
We own the night è il bellissimo titolo originale
di questo film di James Gray, e a quanto vediamo nellapertura
della storia, era anche la scritta sul distintivo della polizia criminale
di New York. Ma la triste verità è che la notte non appartiene
alla legge: come potrebbe? E forse la qualità migliore di questa
pellicola è proprio il tono drammatico che il regista e sceneggiatore
sceglie di utilizzare per mostrare lenorme disparità delle
forze in gioco in questa terribile guerra, con un dipartimento di polizia
armato di ideali e poco altro, quasi un pugno di uomini che può
contare solo sulla propria risolutezza e su un voto di belligeranza
che appare quasi un voto sacrificale, mandati comerano a schiantarsi
contro le propaggini tentacolari di una mafia invisibile e quasi onnipotente,
che si fa beffa delle forze dellordine, chiama i poliziotti "mickey
mouse" e li stana uno dopo laltro in una serie di esecuzioni
brutali e spietate. Questo è lo scenario de i Padroni
della notte, film interessante ma stranamente ibrido tanto
nelle scelte registiche che negli snodi della sceneggiatura; una storia
che sembra tradire una particolare incertezza nelle modalità
di rappresentazione, al punto che si ha limpressione di trovarsi
di fronte ad un prodotto girato verso la fine degli anni 70, ma senza
quel distacco - o quella lucidità - riscontrabile in altre produzioni
analoghe, in cui invece luso di uno stile vintage è
dosato consapevolmente e serve a costruire unimpalcatura narrativa
e formale più marcatamente postmoderna.
Gray sembra avere paura di scegliere fino in fondo, e malgrado sia indubbia
una certa capacità di dialogare con il cast, così come
fuor di dubbio è lefficacia di alcune scene - lentrata
nella polveriera dove si produce la cocaina, o lattacco
alle macchine della polizia da parte dei killer russi- il risultato
complessivo crea una sensazione non sempre gratificante di déjà
vu, quasi ci si trovasse di fronte ad un film di Lumet degli anni
doro, ma senza il dispiegamento delle tematiche di denuncia, senza
quegli affondi di penna decisi e vibranti nella costruzione della sceneggiatura.
Cè da augurarsi, in conclusione, che questo autore comunque
interessante presto scelga - o impari a modulare ritmi e temi in maniera
più personale e disinvolta, affrancandosi da un genere che, se
privato della dovuta spregiudicatezza, resta un po prigioniero
dei propri natali "di genere": un tocco drammatico comunque
non privo di corpo, incastrato però nel vestito stretto del poliziesco
daltri tempi.
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