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Orizzonti di gloria
Paths of Glory, Usa, 1957
di Stanley Kubrick, con Kirk Douglas, Ralph Meeker, Adolphe Menjou, George Macready

La musica contro il disordine
recensione di Stefano Finesi



Il trillo di un fischietto risuona nel chiasso assordante delle esplosioni e inizia l'attacco al "formicaio". Nell'unica sequenza propriamente bellica di Orizzonti di gloria una lunga carrellata laterale tallona i soldati francesi nel loro percorso accidentato sotto la pioggia martellante delle bombe; lo zoom all'improvviso schiaccia sempre di più le figure contro il terreno, triste presagio di uno scontato destino di annientamento, la camera si fa traballante, si impenna alle esplosioni. Instabilità e indistinzione: la guerra appare nella sua ferocia scomposta, i soldati precari si distinguono sempre meno dalla terra, corpi e materia, nella nebbia e nel fumo, si mescolano in un monotono grigiore.
Orizzonti di gloria è giocato per intero sull'opposizione (puntualmente tradotta da Kubrick in termini visivi) tra "ordine" e "disordine": l'ordine del potere, della gerarchia militare disposta nei suoi ferrei schematismi e il disordine della violenza che da quel potere viene generata, il caos scomposto della sopraffazione e della morte che le geometrie del militarismo producono dietro l'ipocrisia del rigore. E' l'ordine il vero protagonista del film, nella sua opprimente ottusità: la villa settecentesca che fa da quartier generale, espressione di una razionalità fredda che imbriglia la natura pur ostentando di volerne mantenere la vitalità; il processo, che si svolge in una sala con pavimento a scacchi (soldato=pedina) dove ogni movimento diventa parte di un gioco sadicamente meccanico, enfatizzato dalla mdp che carrella a cadenza regolare dietro le schiene dei soldati; l'esecuzione dei tre prescelti, algido rituale che comprime la sofferenza nell'impossibile dignità di una parata; la stessa celebre carrellata che accompagna il colonnello Dax nella trincea fende chirurgicamente due ali di soldati annichiliti da un destino già segnato.
Il disordine si libera con la violenza che l'ordine militare stesso ha programmato, esplode dopo una lunga compressione: l'attacco al "formicaio" con le sue terribili conseguenze, l'attesa straziante della morte per i tre presunti vigliacchi, il gozzovigliare finale nella taverna, sfogo del risentimento accumulato, dove i soldati prendono a insultare la giovane tedesca prigioniera. Ma questa inizia a cantare sommessamente e piano piano i soldati finiscono per unirsi a lei in coro: il disordine si ricompone in un nuovo ordine che non è più quello militare ma quello della musica come simbolo della riscoperta di un linguaggio comune e di una possibile armonia universale tra i popoli.