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id.,
Islanda/Germania/Gran Bretagna/Danimarca, 2003
di Dagur Kári, con Tómas Lemarquis,
Throstur Leo Gunnarsson, Elin Hansdóttir,
Anna Fridriksdóttir
Solo i ghiacciai dellIslanda e i suoi paesaggi innevati sembrano
rendere inizialmente a Nói albinói un
lieve scarto rispetto a un copione visto e vissuto infinite volte: la
sonnolenza e linerzia della provincia, i turbamenti di un giovane
outsider e la sua cauta ribellione contro le istituzioni, i primi amori
adolescenziali. Quello che in prima battuta potrebbe archiviarsi come
lennesimo romanzo di formazione in chiave grottesco-minimalista,
avrebbe tutte le carte in regola per appartenere alla gloriosa categoria,
negli ovvi bersagli del protagonista (la scuola, la famiglia disastrata,
gli asfittici rituali borghesi), nella sua genialità inespressa
(e comunque limitata a cubo magico e Master Mind), nel carattere inconsapevolmente
buffonesco con cui Nói affronta la vita e marca la differenza
tra sé e il mondo circostante: Nói vorrebbe fuggire da
professori poco stimolanti, da un padre perennemente sbronzo, da compagni
di scuola inesistenti, vorrebbe fuggire con Iris, operaia alla pompa
di benzina, nientemeno che alle Hawaii, le cui assolate distese di sabbia
riempiono il viewer regalatogli dalla nonna.
A questo livello il film funziona bene, diverte e coinvolge grazie a
un umorismo stralunato degno del miglior Jarmusch, ma è soprattutto
una provvidenziale deviazione ad evitare le maglie troppo strette di
un cliché esplorato in lungo e in largo: ad allungare la sua
ombra sul film di Dagur Kári è la presenza, insistente,
ramificata, fisica, della morte. Prima della catastrofe che chiude brutalmente
lintera vicenda, diversi segni dellimmanenza della morte
puntellano la narrazione: Nói che versa una pentola di sangue
di maiale addosso al padre e alla nonna, che spara colpi di fucile contro
i ghiacciai, che trova lavoro come becchino e contratta la profondità
di una buca con il parroco, che si fa leggere i fondi del caffè
da uninquietante operaio veggente, il quale vi scorge solo distruzione.
È come se sullatmosfera clownesca di Nói
albinói calasse progressivamente una cappa scura, una
serie di premonizioni senza legame apparente con la storia del protagonista
che pure ne danno la chiave ultima lettura offrendole uno spessore drammatico
altrimenti troppo esile. La ribellione di Nói si commuta infatti
in distruzione inconsapevole di tutto ciò che gli sta intorno
e il fatto che larrivo di una valanga sia del tutto casuale non
sminuisce il legame tra lui e la catastrofe che gli si è scatenata
intorno: il cataclisma trascina con sé tutto il mondo di Nói,
un mondo a cui egli aveva opposto una buffa e ferma rivolta con la sua
vita da anarchico-genio-ribelle (auto)costretto allisolamento.
Muore il preside della scuola, colpevole di averlo espulso, muore il
padre alcolizzato, muore lamico inetto e il padre direttore della
banca che Nói ha provato invano a rapinare, muore la ragazza
che alla fine non aveva avuto il coraggio di seguirlo nella sua folle
fuga.
Nói albinói lascia il segno perché
racconta di una ribellione non consumata eppure devastante, di una volontà
di rottura quasi infantile e mai spinta fino alleccesso che pure
diventa distruzione totale (e immediato senso di colpa), come se le
conseguenze della più apocalittica sovversione scaturissero in
modo autonomo, gelosamente conservate sotto i ghiacciai perenni dellIslanda
e quindi destinate ad esplodere senza preavviso. Nói è
un killer che non preme il grilletto, un fuggitivo che non oltrepassa
il confine cittadino, un rivoluzionario che non rovescia nessun ordine
costituito, è insomma la frontiera più estrema delleroe
esistenzialista, trovandosi a scontare il peso terribile della responsabilità
pur venendo privato di una reale libertà dazione. Dal suo
scantinato segreto, dove si rifugia solo a pensare e dove riesce a salvarsi
dallarrivo della tempesta, sembra generare/subire questo cortocircuito
tra individuo e collettività, inconscio e natura, caos e predestinazione,
in cui il rifiuto del mondo si trasforma nella sua paradossale eliminazione
e lisolamento alimentato dal desiderio di fuga e di rivolta perde
il suo diretto antagonista, condannando se stesso a una solitudine perennemente
congelata nel rimorso.
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