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Touching the Void,
GB, 2003
di Kevin MacDonald, con Brendan McKey, Nicholas Aaron,
Brendan Mackey, Ollie Ryall, Joe Simpson, Simon Yates
Lo ammettiamo: eravamo convinti di trovarci di fronte allennesimo
e scontatissimo cliffhanger-movie; sapevamo poco delloggetto
filmico che ci si parava davanti, e del resto il titolo italiano non
faceva che avvalorare quella convinzione. Invece La morte sospesa
("Touching the Void" in originale) si rivelava ben altro,
anche solo ad una prima occhiata.
Il film ricostruisce, con dichiarato piglio documentaristico, limpresa
leggendaria di due audaci climbers inglesi, Joe Simpson e Simon
Yates, gli unici ad esser riusciti a scalare limpervio versante
ovest della Siula Grande, vetta andina di oltre seimila metri. La prodezza
risale a metà anni Ottanta, e il film mette in immagini i fatti
che i tre veri protagonisti - il terzo è la loro guida - raccontano,
oggi, allo spettatore.
Ciò che conferisce statuto così eroico allanabasi
dei due ragazzi - allepoca dei fatti sono pressappoco venticinquenni
- è la loro adesione al cosiddetto stile alpino,
quello dei veri puristi della scalata: niente elicotteri o mezzi di
soccorso esterni, ma solo loro, uno zaino con le provviste e unattrezzatura
di base. I due non tarderanno ad accorgersi delle enormi difficoltà
cui, purtroppo, stanno andando incontro.
Loperazione del trentottenne documentarista scozzese Kevin MacDonald
ha dellastuto, ma non per questo ricerca il facile acchiappo;
anzi. Il racconto si sofferma più volte sugli aspetti più
sgradevoli di unimpresa di questo tipo, con particolare attenzione
ai terribili effetti della disidratazione che presto coglie i due. Lo
scatto fondamentale della storia avviene però nel momento in
cui Simon, messo alle strette, è costretto allextrema
ratio del taglio della corda che unisce la coppia nella salita;
disperato atto di resa, a cui si ricorre ovviamente solo quando la vita
di entrambi è messa fortemente a repentaglio, e il taglio rappresenta
lultima speranza di salvezza per almeno uno degli scalatori.
Si tratta del nodo centrale del film, e cade proprio nel punto in cui
ci si aspetterebbe di assistere piuttosto allarrivo sulla vetta
della Siula, prima della perigliosa seconda parte del percorso, e cioè
la discesa; peccato che ciò avvenga invece abbastanza sul presto
- dopo nemmeno mezzora di film - e lincidente ai due capiti
già sulla terribile via del ritorno, nettamente preponderante
in fatto di importanza filmica; quasi che il regista volesse esplicitare,
in termini di struttura narrativa, la credenza enunciata allinizio
del film secondo cui lottanta per cento degli incidenti
avviene durante la discesa.
Ciò detto, e consegnato lo spessore del caso al più che
mai simbolico taglio cui Simon è costretto, il film
deraglia - sia detto in senso positivo - in territorio quasi metafisico,
anche in virtù della carica visionaria che la scrittura registica
si trova in più punti ad avere; dal turning point in
poi, infatti, luno si porterà dietro limponente fardello
psicologico dellabbandono del compagno - vexata quaestio
del codice alpino - laltro si ritroverà solo, sul fondo
di un crepaccio, per di più con una gamba spezzata allaltezza
del ginocchio (causa primaria del precipitare della situazione). Col
passare dei giorni, Simon darà sempre più per certa la
morte dellamico, impegnato invece in una disperata e solitaria
impresa, destinata a concludersi - salvo miracoli - in una morte atroce,
tra stenti e grandi sofferenze.
Touching the Void, attraverso laffilata arma
del côté documentarista, restituisce alla montagna
tutta la sua crudeltà, tanto da far sembrare poco più
che velleitario il tentativo dei due scalatori, specialmente quando
uno spietato campo lungo ne inchioda le minuscole figure in mezzo ad
un dedalo di spaventosi crepacci. La regia è consapevole dei
propri mezzi, e li usa tutti, andando opportunamente sopra le righe
- piani sghembi, angolati, traballanti, luce a cavallo -
quando si tratta di rendere la profonda disperazione e il conseguente
delirio di un uomo condannato a morire da solo. E il film emoziona,
grazie anche alla resa fenomenologica di una psiche in disfacimento,
tristemente lucida solo quando si tratta di rendersi conto di una fine
che sembra inevitabile.
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