la Mia vita senza me
Al supermercato del dolore
di Adriano Marenco

 
  Mi vida sin mì, Spagna/Canada, 2003
di Isabel Coixet, con Sarah Polley, Scott Speedman, Deborah Harry


Riacchiappare tutto precipitando. Precipitando ritrovare all'improvviso l'abitudine a pensare. Hai avuto una vita che ti ha portato via subito la spensieratezza. Ventitre anni, già madre di due bimbe, un marito che forse ami ma non sai altro degli uomini, rapporti difficile con tua madre che vive coi film di Joan Crawford; tuo padre in prigione da dieci anni; la tua migliore amica con in testa ficcato solo cibo.
E tutto a un tratto pensi che sei incinta ancora una volta ed invece le analisi ti raccontano che quello che porti dentro non è nuova vita ma la tua morte. E davanti alla vertigine del dolore assoluto ricominciare a pensare. Riprovare a vivere. Riempire magari quella vertigine ritrovando il gusto anche di piccole cose, il gusto magari di caramelle al ginger e di quattro chiacchiere sui Milli Vanilli - coppia di cantanti riccioloni che poi si scoprì cantavano muovendo solo la bocca ma la voce era di altri - con una parrucchiera con gli occhi spalancati sul mondo per coglierne l'importanza della superficialità.

Il film di Isabel Coixet vuole scavare nel vuoto della vita e raccontare come, magari al momento di perderla, quel vuoto si può riempire. Vuole scavare nella vertigine dei rapporti umani, nella superficiale profondità di essi. Però la Coixet si spinge troppo in là, ed annacqua alcuni risultati raggiunti con un eccesso di ricerca poetica, romanticismo e profondità. Spinge troppo a fondo il pedale sulla bontà che l'accelerazione finale di una vita può rivelare in tutti gli esseri umani. Alcune corde vengono toccate, anche se magari poi strappate fino a note stonate.

Ricominciare a pensare. Capire. Le mie bambine cantano tutto il santo giorno jingle pubblicitari e io parlo loro come se fossero leoncine del Re Leone. Le vedo come se fossero in un filmato amatoriale. Provo a parlargli come una visione vista in tivvu di una vita migliore.

La tua amica, quella con la testa stipata di cibo ti chiede: "hai vomitato?... Perché?"
"Ho vomitato perché quando avevo sette anni la mia migliore amica mi ha detto che ero una troia. Ho vomitato perché non mi hanno invitato alla festa più importante della mia vita. Ho vomitato perché mio padre sta in prigione da 10 anni. Per mia madre. Per le mie bimbe. Perché mio marito è l'unico uomo con cui ho fatto l'amore."

Hai vomitato per tutto quello che di sbagliato o falso, può esserci nei rapporti umani ma in realtà hai vomitato per il male che ti si spande dentro. Ma magari è la stessa cosa.

Leggiamo attentamente etichette e istruzioni per l'uso dei prodotti colorati sugli scaffali. Il consumismo è un modo per tenerci lontano dalla morte, dal pensiero della morte perché: "Nessuno pensa mai alla morte in un supermarket". Alla morte forse no ma magari all'amore sì. E allora ci può stare ad una visione di tutti al supermercato che si muovono seguendo il ritmo della canzone interiore di Ann. La canzone del suo nuovo amore.
Il supermercato del dolore banale quotidiano può diventare un surreale canto d'amore.
Eccomi sono Ann, sono fatta di pioggia, i miei piedi vivono nell'erba bagnata.
Il suono della vita è un ragazzo che suona i bicchieri con le dita sui bordi.
Il senso è una lista di cose sceme e fondamentali da completare.

E alla fine la strada per raccontare la verità è un nastro su cui racconterai chi sei e come vorresti essere ricordata e come vorresti gli altri vivessero.

Il mio ricordo voglio sia un lungo nastro che inciderà la vita di tutti quelli che mi sono stati vicino.