Maria full of grace
Senza indipendenza
di Giulio Frafuso

 
  id., Usa, 2004
di Joshua Marston, con Catalina Sandino Moreno, Yenny Paola Vega, Virgina Ariza, Johanna Andrea Mora.


Dal bellissimo ed angelico volto della locandina, dal titolo evocativo, ci saremmo aspettati da questo Maria Full of Grace un film legato a una matrice stilistica dominante come il lirismo dell’immagine, della colonna sonora, dell’interpretazione degli attori. Ci saremmo aspettati un film dolente e prezioso, in cui il realismo veniva trasceso dalla potenza della messa in scena. Quando invece ci siamo trovati di fronte una pellicola indipendente che tanto somiglia a molte altre già viste, la delusione ha cominciato a serpeggiare, probabilmente affossando il nostro giudizio oltre i demeriti effettivi del prodotto. Rimane perciò abbastanza impervio giudicare con effettiva lucidità il film di Joshua Marston, melodramma che racconta la storia della giovane e bella Maria, la quale, per sfuggire alla povertà del suo paese vicino a Bogotà, sceglie di far la “mula”, cioè il corriere che trasporta droga negli Stati Uniti ingerendo una quantità spaventosa di “bocconcini” di gomma. La regia di Marston sceglie il documentarismo esasperato della macchina a spalla continua, anche dove probabilmente non ce ne sarebbe stato bisogno; l’effetto che ne deriva è un desiderio di realismo che ben presto diventa sensazione di sovraccarico visivo, e perciò porta a tutt’altro risultato. Soprattutto la prima parte risulta quindi a nostro avviso di assai difficile scorrimento, sospesa in un limbo estetico che non fornisce né una chiave di lettura socio-politica, né tanto meno una coerenza estetica a cui aggrapparsi.
Nonostante ciò, la bellezza e il pudore di Catalina Sandino Moreno conferiscono al suo personaggio la necessaria veridicità, e fanno affezionare a questa ragazza coraggiosa che ben presto si ritrova in un mondo più grande e malefico delle sue possibilità. Un paio di scene, inoltre, regalano agli spettatori brividi di vera tensione: tutta la sequenza all’interno dell’aereo in volo e quella successiva in cui le ragazze vengono segregate dai trafficanti per espellere la merce, sono davvero toccanti. Alcuni momenti del film riescono perciò a colpire nel segno, soprattutto quando si decide di puntare più decisamente sulla carta del melodramma: allora soprattutto l’interpretazione della giovane protagonista e l’impianto visivo/sonoro (belle le poche musiche presenti nel film) coinvolgono lo spettatore in quanto sta accadendo; troppo spesso però il film torna sul binario asettico della documentazione fredda ed impietosa dei fatti, lasciando a metà un discorso di adesione psicologica ai personaggi che avrebbe dovuto essere maggiormente approfondito.
Maria Full of Grace soffre forse della volontà dell’autore di essere indipendente a tutti i costi, e si pone come un film deciso ad essere un prodotto contro le regole che vorrebbero il cinema come veicolo di emozioni facili. Visto il tema trattato, l’intento è sicuramente lodevole, ma l’eccessiva ridondanza nel portare avanti questa sorta di manifesto estetico trasforma a nostro avviso la pellicola in un qualcosa di programmatico, quindi non spontaneo. Più che di un’occasione mancata, si ha la netta sensazione di un’occasione che avrebbe dovuto essere sfruttata diversamente.