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Laissez-passer,
Francia / Germania / Spagna 2002
di Bertrand Tavernier, con
Jacques Gambin, Denys Polyadés, Charlotte Kady, Marie Desgranges
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La storia della seconda guerra mondiale vista dal punto di vista della
produzione cinematografica francese contemporanea è, secondo
Tavernier, una paradossale esperienza di understatement passionale.
Per questi cineasti appassionati, attivissimi e lucidissimi è
possibile dire, senza traccia di arroganza o ingenuità, che la
guerra non è che una seccatura in più nel consueto macchinoso
meccanismo produttivo. Tanto che, durante la lavorazione di un film,
l'aiuto-regista Jean Devaivre trova il tempo, in modo completamente
estemporaneo e casuale, di rubare importanti piani militari, contattare
la resistenza, volare a spiegare di persona agli inglesi come è
venuto in possesso delle informazioni e tornare al lavoro dopo aver
smaltito una pesante influenza in un giorno, come se fosse cosa da tutti
i giorni. Se la guerra è una terrificante seccatura, la Resistenza
è una complicazione necessaria, e la si fa in tutti i modi: sabotando
depositi, rubando notizie, infilando di sbieco nei film idee "sovversive"
su libertà e oppressione in aperto e provocatorio atteggiamento
anticensorio. Sostenuto dalla magistrale padronanza della mdp di Tavernier,
Laissez-passer è un dramma asciutto, forte e
dal ritmo battente. Caratteristiche che ricalcano perfettamente lo stile
di vita lucido e indefesso dei suoi protagonisti, instancabili nel loro
lavoro. Un lavoro che diventa, fondendosi con l'opposizione all'invasione,
un complesso sforzo di sopravvivenza materiale e psicologica alla cui
schiacciante pressione i cineasti rispondono con una pragmaticità
estrema ma quasi scanzonata nel mascherare la serietà della situazione
con la necessità naturale dell'azione. Filtrate dalla guerra,
le abilità e le aspirazioni personali e professionali di ogni
personaggio si caricano di un significato più forte, di una emozione
più grande quando riescono a venir realizzate nelle condizioni
estreme di una società invasa e lacerata spietatamente fino negli
affetti personali e familiari. Jean Aurenche, sceneggiatore in perenne
trasferta da una casa all'altra delle molteplici donne che ha bisogno
di sedurre, è un altro preciso esempio di questo modo di vita
pronto al compromesso necessario ma che riesce comunque a non rinunciare
alla passione e alla libertà. Nonostante abbia due protagonisti,
Jean e Jean, che condividono nome, mestiere e ambiente ma non hanno
mai nessun rapporto diretto, Laissez-passer funziona
come un film corale in cui il dramma personale è in realtà
specchio di quello sociale, chiuso com'è in un contesto in cui
la vita è e vuole essere, per necessità e per scelta,
fortemente comunitaria. Popolato da una schiera di personaggi sempre
perfettamente definiti, movimentato da ispirati squarci semi-documentari
sul destino di figure minori realmente vissute, Laissez-passer
riesce ad infilare in questo già complesso discorso
narrativo anche alcune notazioni sul cinema dell'epoca. Mettendo in
scena direttamente o indirettamente protagonisti come Maurice Tourneur
o Henri-Georges Cluzot, il film traccia un panorama schematico ma nitido
delle esigenze produttive e comunicative di questi cineasti, a cavallo
fra una rielaborazione dell'espressionismo e delle necessità
di un realismo melodrammatico che avesse una buona presa sulla contemporaneità
e una forte riuscita emotiva. Il tutto mentre sono costretti dalle carenze
industriali della situazione a portare a termine ogni progetto con un
ciak solo per scena, metafora di una vita in cui deve essere sempre
e necessariamente "buona la prima", una vita letteralmente
irripetibile, in cui la precarietà si trasforma, per intelligenza
e passione dei protagonisti, in uno stimolo ad andare avanti.
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