|
Il titolo di questa recensione,
verso estrapolato da una delle più belle canzoni di Fabrizio
De André (ai nostri lettori il compito/sfida di indovinare il
brano
) riassume perfettamente il senso di questo divertente Irina
Palm, o meglio esplica con precisione il percorso di vita che
la protagonista, una vedova di circa 50 anni ormai chiusa nel suo microcosmo,
subisce quasi suo malgrado nella ricerca di denaro necessario per curare
il nipotino molto malato. Maggie ha sempre subito unesistenza
allinsegna delle convenzioni e dellattaccamento ad un ambiente
sociale e familiare castrante (in poche parole piccolo-borghese?), e
proprio a contatto con un ambiente molto più basso
ed apparentemente degradante troverà la propria libertà
interiore.
Il referente principale nelle primissime scene di Irina Palm
sembra essere il cinema di Ken Loach, con il suo sguardo discreto ma
amorevole per le classi sociali britanniche meno agiate, costrette a
confrontarsi con le difficoltà della vita e spesso in grado di
affrontarle con una senso di fatalismo che diventa ironia. Se ricordiamo
con ammirazione lavori come Piovono pietre e soprattutto
Riff Raff, ci si accorge come le intenzioni del regista
Sam Garbarski si muovono verso quel tipo di cinema, volto ad indagare
la condizione di precarietà dei loro protagonisti senza però
ridurli a retoriche vittime del sistema. Questo è
il pregio principale della pellicola, che lavora sul personaggio di
Maggie/Irina in maniera funzionale ma forse un po schematica:
il percorso interiore di Maggie è sviluppato senza tocchi o svolte
narrative particolarmente originali, mentre al contrario la sua funzione
di agente catalizzatore per le altre figure in scena si
dimostra molto più interessante: sono coloro che orbitano intorno
a questa donna che sono costretti a fare i conti con la sua nuova condizione,
e reagiscono tirando fuori le rispettive personalità più
vere e sincere. In questo senso il personaggio di Miki, interpretato
da un grande Manojlovic, è quello che alla fine si mostra al
pubblico come maggiormente sfaccettato e calibrato, soprattutto quando
analizza la sua condizione con la lucidità di ununica frase:
odiavo essere povero.
Marianne Faithfull presta la sua fisicità assolutamente coerente
ad un figura di donna delineata con sottile freschezza, in una pellicola
che possiede il vantaggio di unidea iniziale assolutamente divertente
a lo svantaggio di non avere le capacità per sfruttarne fino
in fondo tutte le potenzialità, soprattutto quelle comico-grottesche.
Irina Palm rimane un film decisamente gradevole, molto
ben equilibrato nella gestione dei toni e nella progressione drammaturgica
della sceneggiatura. Rimane la curiosità soltanto potenziale
di immaginare cosa sarebbe stato di questo soggetto in mano ad un autore
maggiormente deciso ad indagarne le sfaccettature eversive,
quando Garbarski sembra limitarsi a suggerirle con quadretti comunque
più che gustosi.
|