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Nominare tutti i film o i registi
con cui leclettico Steve Buscemi ha lavorato rischierebbe di diventare
un elenco interminabile che sicuramente, con possibili e probabili dimenticanze,
farebbe torto a qualcuno, quindi perchè farlo? Il suo nome vale
anche da solo, senza nessuna ulteriore indicazione: è lui lunica
garanzia di se stesso. Andando oltre il suo essere un attore unico,
versatile e poliedrico, negli ultimi anni si è rivelato anche
un valido e sperimentale regista. Ed ecco che ora, grazie ad Interview,
abbiamo la possibilità di vederlo come regista e protagonista
sul grande schermo.
Il progetto di girare questo film nasce dal desiderio di rendere omaggio
ad unaltra eclettica personalità che, nel 2004, è
venuta a mancare per volere di un estremista islamico: Theo van Gogh.
Nipote del più famoso Vincent, ha consacrato la sua vita allarte
e nei suoi film ha espresso al meglio il suo pensiero e il suo credo.
Egli già desiderava che venissero fatti, in inglese e con attori
importanti e conosciuti, i remake di alcune sue opere; a pochi anni
dalla sua morte Buscemi apre le danze di quella che sarà la trilogia
a lui dedicata: seguiranno, infatti, i remake di 06
e Blind Date affidati a Stanley Tucci e Bob Balaban.
Per compiere al meglio le sue volontà il regista, oltre ad usare
parte della troupe originale, adotta anche lo stesso sistema di ripresa
(fortemente voluto da Weiss e Gijs van de Westelaken, i produttori di
Van Gogh che si stanno occupando del progetto Triple Theo).
Il regista olandese, infatti, aveva labitudine di girare ogni
sequenza con tre camere digitali, in modo da poter avere un riscontro
immediato con immagini subito consultabili e materiale in abbondanza.
Lo stesso Buscemi ammette come questo tripartito sistema di ripresa
si sia rivelato estremamente utile e vantaggioso: i due protagonisti
avevano maggior spazio dazione e più libertà dimprovvisazione,
consapevoli del fatto che nessun movimento o nessuna battuta sarebbero
andati perduti.
Il film mette in scena e soprattutto in gioco il ruolo dei media allinterno
della società moderna mostrandoci l'incontro-scontro tra Pierre
Peders, cronista di guerra, e Sienna Miller che, nei panni di Katya,
è una celebrità nel campo delle soap opera. Le premesse
non sono certo le migliori per una tranquilla e proficua intervista:
lei si fa attendere per circa unora, lui è contrariato
perché si è dovuto abbassare a vestire il ruolo del critico
cinematografico. Un incidente - è proprio il caso di dirlo! -
del destino però porta le due contrastanti personalità
a conoscersi meglio, in un ambiente decisamente intimo e che ispira
strane e fuorvianti confidenze, legando i due in uno strano rapporto
che gioca su sensazioni contrastanti ma che, spesso, vanno di pari passo:
iniziale antipatia e successiva curiosità, studio dellavversario
con conseguente avvicinamento, seduzione e abbandono.
La messinscena di Interview ricalca quella delle piece
teatrale con due personaggi che si muovono e, soprattutto, dialogano
in un interno. Il film infatti, presenta i due protagonisti che agiscono
e vivono per la maggior parte della durata della pellicola nellappartamento
di Katya, e che sono contornati, negli altri due ambienti che possiamo
considerare luno introduttivo - il ristorante - laltro di
passaggio - la strada - da così pochi altri personaggi che si
contano sulle dita di una mano.
Nonostante la qualità degli attori, lefficienza delle scelte
registiche, i temi trattati (che spaziano dalla conversazione più
banale alle confessioni più intime) il rapporto tra i due che
si fa sempre più accattivante (sfiora più volte il complesso
edipico e evolve in un capovolgimento dei ruoli quando Katya si mette
dietro la macchina da presa) e la beffa finale, il film alla fine lascia
dubbiosi. Ma merita comunque di essere visto.
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