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id., USA, 2005
di Sydney Pollack, con Nicole Kidman, Sean Penn, Catherine
Keener, Yvan Attal
Sono subito due le reminiscenze cinematografiche che affiorano a contatto
con lultima fatica del caro Pollack: la prima è assolutamente
diretta, trattandosi dellopera più celebre dello stesso
autore in quellarea del thrilling spionistico battuta anche da
questultimo the Interpreter: alludiamo ovviamente
a I tre giorni del condor, classe di ferro 1975 ma
cè da dirlo neanche una ruga. La seconda
ci fa risalire addirittura alla fine degli anni Cinquanta, epoca in
cui andiamo a ripescare quello che sarebbe diventato il paradigma autentico
di tanta spy-story di lì a venire: trattasi di Intrigo
internazionale (North By Northwest), di Sir Hitchcock, scomodato
in questa sede a causa di una (quasi) analogia di setting con il film
che prendiamo in esame; analogia solo ideale, infatti, dal momento che
a Hitch fu negato il privilegio di girare allinterno del palazzo
delle Nazioni Unite, laddove il diplomatico Pollack ha invece soggiornato
per mesi; e the Interpreter passa così alla
storia, se non per altro, come il primo film girato nel cuore organizzativo
dellONU, on location, mentre il maestro inglese
lo racconta lui stesso a Truffaut fu costretto a dirigere Cary
Grant per i corridoi di un teatro di posa. Se tuttavia ciò non
impedì ad Hitchcock di licenziare uno dei suoi film registicamente
più ispirati, ebbene, sembra che invece loperazione pollackiana
punti talmente sul richiamo dato dal pregiato setting da non preoccuparsi
o da non potersi preoccupare di tutto il resto; e capita
quello che non cera mai capitato con un film dellautore
newyorchese: the Interpreter sembra a fatica un film
suo, di Pollack non denuncia lo stile, lessenzialità narrativa,
lazione secca, lanima romantica; tutto ciò che invece
era racchiuso nei Tre serrati Giorni di Joe Turner, professione spia
di biblioteca, e che qui - quando va bene sopravvive solo in
superficie.
La storia parte quando la giovane traduttrice dellONU Sylvia Broome,
originaria dello stato africano del Matobo, rivela daver intercettato
una conversazione a microfoni spenti nel suo idioma dorigine.
Linterprete si trova così trascinata nel bel mezzo di un
intrigo politico, che assume dimensioni drammatiche nel momento in cui
si profila leventualità di un attentato al dittatore dello
stato africano, atteso a New York per un discorso alle Nazioni Unite.
Sylvia è protetta dallFBI, ma lintrigo è ben
lungi dal dipanarsi; sono infatti lidentità stessa e loscuro
passato della donna ad esser per primi oggetto dindagine.
Nella carriera di un autore, man mano che egli licenzia opere - e tanto
più quando gli capita in sorte unimmediata coerenza estetica
e stilistica vanno mettendosi a fuoco quelli che diventeranno
gli elementi cardine della sua sensibilità e del suo mestiere;
nel caso del Nostro, fin da subito è stato chiaro come il suo
sarebbe sempre stato un cinema di personaggi ritratti in
determinati ambienti: non un cinema di fatti non
in prima battuta, ovviamente non un cinema di eventi;
si prenda ad illustre paradigma di ciò il percorso di Jeremiah
Johnson nel film omonimo, 1972.
Per Pollack ciò vale tuttora; daltronde, dentro una differente
area cinematografica egli non saprebbe nemmeno dove piazzare la macchina.
In questo il suo ultimo è ancora, seppure a fatica, un suo film;
si percepiscono, ancorché semisepolte sotto la standardizzazione
del tutto, una sensibilità particolare, unattenzione per
il dettaglio che non appartengono allinvolucro generale, e sono
invece farina del sacco di chi effettivamente fa il film.
Ebbene, questo residuo autoriale emerge in the Interpreter
sotto due punti di vista: in prima istanza nella cura della direzione
attoriale, autentico nucleo primigenio del lavoro pollackiano, e tanto
più evidente quando si applica ai personaggi secondari; si vedano
nel film e premessa, beninteso, la scrittura a dir poco affrettata
dei rispettivi caratteri le prestazioni di tutti gli interpreti,
con menzione di merito per una ben ritrovata Catherine Keener; quanto
ai protagonisti, la Kidman calza indubbiamente bene la sua misteriosa
traduttrice, mentre Penn, lui più di tutti, fa i salti mortali
per riscattare il suo agente federale dal piattume della pagina scritta.
In secondo luogo, non possiamo non apprezzare la solita trasparenza
ed onestà del regista nel condurre lazione; ecco, lassenza
di climax emotivi gratuiti, il rifiuto sistematico del colpo basso
e ad effetto, luso sempre raffinato della suspense con
una bella sequenza hitchcockiana - rendono the Interpreter
unopera contro cui risulta difficile accanirsi, come invece avrebbe
il diritto di fare lamante tradito di un grande autore. Il film
rimane infatti oggettivamente poco ispirato, soprattutto perché
tarato da una sceneggiatura estremamente approssimativa; Pollack viene
come soffocato da quella che appare unoperazione del tutto standardizzata,
allinterno della quale non cè margine espressivo
per qualcosa che vada oltre una solida professionalità; di suo,
per fortuna, lautore ci mette il non fingersi mai altro da quello
che è, ed è il motivo per cui the Interpreter,
pur con tutti i difetti, non potrà mai esser scambiato per un
film di Michael Bay, tanto per dirne uno. Ma non si parli darte,
quando si riesce addirittura a tarpare le ali ad un genio della luce
come Darius Khondji, qui occupato più che altro a preservare
su pellicola la supposta fotogenìa del look delle
Nazioni Unite; in merito, tuttaltra cosa era il lavoro di un Gordon
Willis nei film del compianto Alan Pakula, il più bel catalogo
degli anni Settanta in fatto di alienanti geometrie urbane.
Cè poco da fare, il film non cè; perdipiù,
terribile a dirsi, annoia, dal momento che si fa davvero fatica a provare
interesse per personaggi scritti solo in superficie, ed evidentemente
privi della carica di reale ambiguità che una vicenda del genere,
al contrario, prescriverebbe.
Peccato. Rimane, intatta, lonestà di un autore che avrà
sempre il coraggio di non essere alla moda. Così vogliamo sperare,
quantomeno.
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