I love huckabees

Il non-senso del senso
di Giulio Frafuso

 
  I Heart Huckabees, USA, 2004
di David O. Russell, con Jason Schwartzman, Isabelle Huppert, Dustin Hoffman, Lily Tomlin, Jude Law, Mark Wahlberg, Naomi Watts


Che David O. Russell avesse una spiccata propensione per la commedia di chiara derivazione nonsense lo si poteva intuire in qualche modo anche da alcuni spunti presenti in Three Kings, soprattutto nella prima parte del film. Il suo esordio Amori e disastri, purtroppo da noi poco visto, si dirigeva poi con assoluta precisione verso un tipo di comicità densa di significazioni surreali. Questo strampalato I Love Huckabees conferma la tendenza dell’autore a prediligere l’amata e ri-scrivibile screwball comedy, tanto da arrivare alla realizzazione di un film che sembra più una tesi sul genere che una pellicola ideata per divertire il pubblico. Costruire una sceneggiatura su una pseudo-filosofica non-idea, portarla avanti per un’ora e quaranta, delineare dei personaggi che sono tutti, dal primo all’ultimo, pure funzioni programmate per portare avanti la suddetta non-idea: tale è il meccanismo che muove il film, che pecca evidentemente di presunzione e cade nella trappola dell’intellettualismo (o meglio, del contro-intellettualismo); il progetto di base di caricare di non-senso questa immensa dissertazione sul senso ultimo della vita diventa quindi un gioco piuttosto sterile se preso nel suo complesso. In più, Russell sembra voler concentrare nella sua pellicola tutta una serie di riferimenti più o meno espliciti ad autori contemporanei che evidentemente lo ispirano; ecco perciò che I Love Huckabees sembra di volta in volta strizzare l’occhio ai vari Wes Anderson, Alexander Payne, soprattutto Joel ed Ethan Coen - quando in una commedia esce fuori il vocabolo “nichilismo”, è praticamente impossibile non tornare con la mente a Il grande Lebowski.
Nonostante la meccanicità dell’assunto e della costruzione narrativa del lungometraggio, quando però si esce dal cinema, stranamente ci si ricorda di tutta una serie di scene e di gags che sono assolutamente azzeccate: lampi improvvisi, trovate estemporanee, tormentoni alla fratelli Marx; I Love Huckabees si segmenta dunque in tanti piccoli frammenti di grande comicità. La felice ed improvvisa irrazionalità con cui i personaggi compaiono, scompaiono, cambiano pelle e modo di pensare, travolge alla fine ogni pretesa di logicità e conduce lo spettatore in un vortice di slabbrato umorismo, che anche se sa di casuale diverte comunque. Altro pregio del film è quello di mostrare in pieno quanto i numerosi attori che lo hanno interpretato si siano divertiti a farlo. Su tutti un Jude Law che convince maggiormente quando non si prende sul serio e, come sempre secondo il nostro personalissimo gusto (estetico), Naomi Watts. Il suo ruolo ha la consistenza di una scorreggia in un ciclone (gran battuta, purtroppo non mia…), ma lei lo interpreta con una soavità disarmante. Il suo personaggio nella prima parte del film deve essere al massimo della forma, poi all’improvviso ha la necessità di imbruttirsi in maniera repentina, ed ecco che allora la Watts diventa ancora più bella.
Ma come fa?