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Identikit di un delitto
The Flock, Usa, 2007
di Wai-keung Lau, con Richard Gere, Claire Danes, KaDee Strickland, Ray Wise, Avril Lavigne

Identikit di uno stereotipo
recensione di Emanuela Andreocci



L’inizio concitato, a montaggio serrato, con raccordi da videoclip e frequenti jump cut che rendono la visione instabile ma lo spettatore all'erta, e il ripetersi di due immagini (il treno e il cavallo) dall’evidente connotazione simbolica (introducono al tema della pratica erotica e della violenza sessuale) sembrano, a primo acchito, introdurci a qualcosa di nuovo. E forse la delusione di Identikit di un delitto nasce proprio da questo, dall’aspettativa - o dal desiderio - di esser davanti a qualcosa di diverso, aspettativa che viene disillusa non appena il gioco della macchina da presa, con i suoi movimenti e i suoi salti, lascia il campo alla narrazione e allo sviluppo della trama.
Un poliziotto veterano costretto ad andare in pensione viene affiancato nella sua ultima missione da una giovane e inesperta - forse: non si capisce bene - ragazza. Non ci sono dubbi: capiamo di essere di fronte all’ultimo - finora! - dei soliti e stereotipati psyco-thriller. La coppia che agisce, sempre inizialmente mal assortita e divergente (in genere per età, sesso o colore - a volte per tutti e tre i fattori), si ritrova poi, volente o nolente, ad affrontare situazioni pericolose, vicende torbide e misfatti terribili che crea nei due una complicità unica e irripetibile.

Nello specifico, Errol Babbage (Richard Gere) deve addestrare la giovane recluta Lowry (Claire Danes), inaspettatamente scelta da lui stesso come sua sostituta. Il protagonista, infatti, è costretto alla pensione anticipata a causa dei suoi metodi poco ortodossi e delle sue poco sane abitudini. Una voce fuori campo, del resto, ci aveva avvisati fin dall’inizio: "Se combatti a lungo contro i draghi, diventi un drago". E Babbage, il cui campo di indagine riguarda esclusivamente i crimini sessuali, è una vita che non fa altro che rincorrere i draghi, cercarli, stanarli, prevenire le loro terribili azioni... Egli ha il compito - legale - di tenere d’occhio i colpevoli e il dovere - giusto moralmente ma insensato nella pratica - di evitare in ogni modo che ciò che è successo in passato accada nuovamente. “Il fine giustifica i mezzi”, sembra pensare il machiavellico personaggio: a lui non interessa il modus operandi, l’importante è riuscire, ottenere ciò per cui egli lotta e vive, anche se a discapito della prassi e della legalità.
E poiché di stereotipi abbiamo parlato, come da classico copione, oltre a combattere i draghi, l’oscuro eroe deve fare i conti con il suo passato, affrontando i propri scheletri nell’armadio. E mai parola fu più appropriata: il poliziotto continua a lacerarsi l’anima incolpandosi di una omicidio che avrebbe potuto evitare, se solo a suo tempo avesse guardato in un armadio...

Ma se le esperienze passate e i film precedentemente visti ci hanno impartito qualche insegnamento, è che difficilmente la storia si ripete, e alla fine qualcosa cambia sempre.