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After Hours,
Usa, 1985 di Martin Scorsese, con Griffin Dunne, Rosanna Arquette, Verna Bloom "Il finale della sceneggiatura prevedeva che Paul uscisse a comprare un gelato per June che si trovava nel seminterrato, ed era tutto. Io sentivo che mancava qualcosa e che avevamo bisogno di un finale fantasioso. Così Minion (Joe Minion, autore della sceneggiatura originale, n.d.r.) ebbe un'idea: June cresceva a dismisura, mentre fuori dalla porta la gente urlava:"Lo uccideremo, lo prenderemo". ( ) Lei avrebbe detto una battuta del tipo "Ora sai cosa fare" e lui "Be', non ho avuto molte occasioni di rientrare nel grembo, fino ad oggi". " Tra un consiglio di Michael Powell e uno di Spielberg, Scorsese arriverà tuttavia al finale definitivo di Fuori orario: prigioniero di una statua di gesso, Paul viene "rubato" da Cheech e Chong, i due ladri notturni, che lo lasciano cadere davanti al suo ufficio proprio all'ora di apertura, in tempo per una nuova giornata di lavoro. Ma la trovata della gigantessa-giunone che riassorbe Paul nel proprio utero aiuta a capire meglio l'intero sviluppo del film, un'epopea urbana che mima il dramma dello dell'uomo "espulso" nella vita, condannato a un perpetuo spaesamento e all'ansia di un appagamento e di un ritorno impossibili. Da cattolico inquieto, poi, Scorsese lega Paul a due ossessioni fondamentali: la sessuofobia (il terrore delle cicatrici immaginate sul corpo della Arquette, desiderato veramente solo dopo la sua morte) e l'angoscia della colpa non commessa, legata al peccato originale (Paul è perseguitato dall'intera Soho per qualcosa che non ha fatto). Il ritorno nel grembo come realizzazione fantastica di una pulsione basilare è sostituito, più sottilmente, dalla fuga salvifica all'interno di una statua-uovo: è l'arte stavolta a permettere una rigenerazione, seppure momentanea e illusoria? |