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id., USA, 2004 di Joseph Ruben, con Julianne Moore, Dominic West, Gary Sinise Sullo schermo e sulla carta, The Forgotten parte con discrete credenziali. Credenziali fredde, adatte allatmosfera della storia, come la mano di Joseph Ruben, sperimentato evocatore di suggestioni tese e cupe (A letto con il Nemico, LInnocenza del Diavolo) e quella di un direttore della fotografia, Anastas Michos, apprezzabile artigiano spesso al seguito di Milos Forman (è sua la fotografia di Man on the Moon). Le immagini con cui si apre il sipario della storia sono autunnali, metalliche, suggeriscono inquietudini surrettizie. Toni blu, grigi, una Grande Mela messa in scena con sapori lividi, che ricorda a tratti il lavoro fatto dalla Campion (ma con maggiore prosaicità e minore slancio metaforico) per In the Cut. Nessun colore caldo è allopera, eccezion fatta per i capelli rossi di Julianne Moore. Che ci si presenta subito sofferente, contratta, in buona sintonia con laria sottilmente malata dellambiente che la circonda. Lambiente sa di morte, ha il sapore di un lutto che si è appena consumato, e a cui lei, madre inconsolabile, resiste con tutte le sue vane forze. Sul piano visivo-umorale, per così dire, le premesse ci sono, ma quando da lì ci si sposta sul piano della narrazione, le cose si complicano. A volte il servizio peggiore che si può rendere ad un film, nello specifico ad un thriller, è quello di dotarlo di una tagline ingombrante, una sorta di biglietto da visita che finisce con linscrivere dentro di sé completamente la storia che dovrebbe solo annunciare. Con leffetto di rivelare, man mano che le scene si susseguono, la debolezza del marchingegno narrativo. E se scopriste che tutti i vostri ricordi più cari non sono in realtà mai accaduti? Questa frase dovrebbe attirare in sala lo spettatore, pungolando la sua immaginazione, ma lunico effetto che sortisce, alla lunga, è quello di fagocitare tutta la parte iniziale del film, fino ad un quarto della storia, forse fino a metà, forse per intero. Finendo per essere, fatalmente, un riassunto. Quanto succede sullo schermo, dopo le prime pennellate tutto sommato piacevoli, accade con una accelerazione progressiva e convergente; tutto, dalla scelta dei dialoghi alla scansione delle scene, converge con una rigida, monocorde simmetria sullunico asse portante della narrazione. Leffetto risultante è quello di una eccessiva funzionalità percepita in ogni cosa che viene mostrata, come se qualsiasi evento dovesse corrispondere pesantemente e pedissequamente alla tagline di cui sopra. Un ricordo è stato cancellato. È un complotto, ordito da chissà chi o cosa, oppure la nostra Telly Paretta, dalle sembianze di Julianne Moore, è vittima di allucinazioni, di paramnesia, come la definisce un Gary Sinise paludato da psichiatra? La domanda, in realtà, è puramente retorica, quanto potrebbe esserlo la stessa frase ad effetto che accompagna il trailer del film. La suspence, infatti, è pressoché nulla. La velocità che prende il dipanarsi degli eventi è tale che viene esclusa qualsiasi divagazione, qualsiasi falsa pista. Nessun suggerimento ingannevole viene disseminato sul percorso per giocare con lo spettatore, per indurlo a credere qualcosa che in effetti non è. Quanto vorrebbe la sceneggiatura, e cioè limmedesimazione emotiva con la protagonista, lingenerarsi del dubbio su cosa stia effettivamente vivendo, semplicemente non si innesca. La confezione, il formato del film, questo dubbio non lo supportano, non gli lasciano alcuno spazio vitale. Non riusciamo a credere che Telly sia pazza, perché niente nellevolversi degli accadimenti ci porta a farlo, e neppure lei, in ultima analisi, sembra mai farsi assalire dallinterrogativo che dovrebbe essere il fulcro della storia (a detta degli stessi realizzatori), e cioè se lincubo che sta vivendo sia solo nella sua testa o nel mondo che la circonda. Così quando il plot va definitivamente a schiantarsi a testa bassa contro il finale, di sorpresa ce nè davvero poca. Lintera struttura della storia presupponeva questa risoluzione, senza nessuno spazio per dimensioni psicologiche sghembe, dubbi, doppie letture, ambiguità. Nessun brivido, neppure quando i cattivi di turno si lasciano vedere, nessun cliffhanger finale a salvarci dal senso di déjà-vu che rigurgitiamo quasi da subito: solo la speranza di un oblio benevolo che cancelli - questo sì - il ricordo di un così goffo tentativo di fare del cinema. |