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He liu,
Taiwan, 1997
di Ming-Liang Tsai, con Chao-jung Chen, Shiang-chyi
Chen, Ann Hui, Kang-sheng Lee, Shiao-Lin Lu, Yi-Ching Lu, Tien Miao,
Kuei-Mei Yang
Una piccola troupe cinematografica sta tentando di girare una scena
sul fiume Tamsui. La scena prevede che un cadavere fluttui nelle acque
putride del corso d'acqua. Ma il manichino che dovrebbe simulare il
morto non appare abbastanza realistico: galleggia stranamente, i piedi
sono troppo sollevati dal pelo dell'acqua. Così la regista, esasperata
dai continui fallimenti e pressata da esigenze produttive, chiede a
Xiao-Kang, un giovane di Taipei portato sul set da un'amica che fa parte
della troupe, di prendere il posto del manichino. L'impiego del ragazzo
permette così la buona riuscita della scena. Xiao-Kang viene
ricompensato dall'amica con un incontro sessuale in una camera d'albergo.
Sembrerebbe uno scambio vantaggioso. Ma, dopo essere uscito dall'acqua,
qualcosa del fiume rimane attaccato addosso a Xiao-Kang a sua insaputa.
Qualcosa di oscuro e malato. Il collo di Xiao-Kang comincia a torcersi
in spasmi dolorosi che lo accompagneranno, sempre peggiori, per tutto
il film, spia di una malattia misteriosa.
Un elemento perturbante, un dolore sgraziato e scomodo, che si inserisce
nella routine della vita del ragazzo con violenza ma anche, paradossalmente,
con estrema naturalezza. E questa malattia misteriosa è come
il disagio che avvolge lo spettatore del film. Spettatore che esce dalla
visione de Il Fiume con addosso tutta la quieta e tragica
sporcizia del protagonista: un uomo che che quasi per caso sacrifica
la sua salute fisica in cambio di un incontro sessuale. O almeno così
appare. Perché nel corso della vicenda diventerà chiaro
come la vendita del corpo di Xiao-Kang è in realtà solo
il primo passo di una profondissima e cupa discesa nel malessere, un
viaggio attraverso la disperazione e il dolore che passa per diversi
tabù sociali. Tabù incarnati da una famiglia profondamente
disfunzionale: un padre omosessuale che cerca sfogo nelle saune della
città, una madre - ormai completamente disaffezionata al marito
- il cui amante lavora nella distribuzione di video porno.
La routine quotidiana di una famiglia quasi ridicolmente ipocrita si
trasfigura nel calvario di Xiao-Kang sotto lo sguardo implacabile ma
puramente descrittivo e freddamente dimesso di Ming-Liang Tsai. Pochissimi
dialoghi contrappuntano il racconto, giocato su un elemento tanto ossessivamente
ricorrente da superare il suo valore iniziale di metafora per diventare
la punteggiatura fisica dell'incubo: l'acqua. Non solo quella del fiume
che porta la malattia, ma anche quella della pioggia che si riversa
fluviale nella camera del padre di Xiao-Kang. Acqua proveniente da una
perdita dell'appartamento disabitato al piano di sopra.
Padre e figlio cominciano a viaggiare attraverso il paese, in cerca
di cura per la malattia che avvicina i gesti del ragazzo ai movimenti
ossessivi di un malato di mente. La madre non accompagna i due nel viaggio
di guarigione: sembra incapace di comprendere e amare il figlio correttamente.
Lo aggredisce in ospedale apostrofandolo con colpevole amarezza ("forse
non ti ho coccolato abbastanza quando eri piccolo?"), ritrovandosi
però a volte preda di desideri sessuali nei confronti del ragazzo.
Chiropratica, agopuntura, medicina occidentale: nessuno riesce a risolvere
il problema del giovane malato. L'ultima speranza è Liu, un "guaritore
spirituale" che promette a Xiao-Kang di aiutarlo. Ma il viaggio
di padre e figlio è destinato ad un epilogo kafkiano, cupo e
lugubre, che avvicina non poco il racconto a imprevisti toni da cinema
horror. Xiao-Kang si reca nella sauna dell'albergo dove sta aspettando
notizie del guaritore. Nello stesso ambiente buio seppia, una sorta
di cella male illuminata, entra il padre, che si accosta al corpo del
figlio ignorandone l'identità, e lo violenta. Xiao-Kang sembra
poco a poco abbandonarsi all'incesto, che avviene nelle stesse condizioni
(in albergo e con poca luce) del rapporto che ha avuto all'inizio del
film con la vecchia amica. Nella scena più raggelata e intensa
del film, il figlio aiuta il padre a pulire le tracce di sperma con
della carta igienica. Poi Xiao-Kang si abbandona ad un pianto liberatore
nelle braccia del padre, come se cercasse disperatamente di trovare
amore e calore all'interno della violenza. Come se potesse trasformare
lo stupro nella medicina di cui ha bisogno per guarire. Ma, mentre sta
uscendo dalla stanza, il padre riconosce finalmente il figlio. La mdp
del regista, implacabile, non registra alcun innalzamento della temperatura
emotiva seguendo il pestaggio del padre sul figlio. Un'esplosione di
violenza sopra un'altra, in un processo di stratificazione spietato
e devastante.
Ming-Liang Tsai affoga il melodramma nelle acque cieche e fredde di
un fiume di emozioni troppo tragiche e incomprensibili.
Intanto, la madre ha risolto l'unico problema che la famiglia sembra
in grado di affrontare realmente: è penetrata nell'appartamento
di sopra, deserto, e ha chiuso un rubinetto aperto, responsabile dell'allagamento
della camera del padre.
Poco dopo giungono notizie dal guaritore: non può fare nulla
per Xiao-Kang. Al ragazzo non resta che cercare sollievo nel suicidio:
lo ritroviamo davanti al parapetto del balcone della sua camera d'albergo.
Ma il pensiero della morte dura solo per qualche istante. L'acqua ha
smesso di scrosciare, Xiao-Kang non si ucciderà. Il racconto
lascia intendere che la routine potrà riprendere, e la malattia
e l'incesto saranno inglobati nella vita del ragazzo e della famiglia.
Come se fossero solo un problema idraulico, di grandi dimensioni ma
pur sempre riparabile con un semplice gesto.
Nessuno ha perso la vita nel film, ma l'atmosfera di morte è
tanto palpabile quanto la massa scura dell'acqua inquinata del fiume.
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