|
Le Fleur du Mal,
Francia, 2002 di Claude Chabrol, con Nathalie Baye,
Suzanne Flon, Benoît Magimel
Si può cominciare dalla fine. Da quando lenergica e carismatica
Zia Line, colonna storica della dinastia Charpin-Vasseur scarica il
suo bagaglio di segreti e lo trasmette, come una leggenda di famiglia,
alla nipote Michéle.
Si tratta della confessione di un assassinio avvenuto in passato e lassunzione
di colpevolezza di un omicidio che ha appena avuto luogo. Tre dei pilastri
del genere giallo vengono a cadere contemporaneamente perché
un breve monologo chiarisce il nome dellassassino, il movente,
e la futura latitanza, senza bisogno di dare il via al consueto iter
investigativo.
Come accade spesso nel cinema di Chabrol, linteresse per latto
e per i dettagli è strettamente secondario al nucleo portante
costituito dal personaggio che, nel caso in questione, illustra le dinamiche
basilari ed immutabili di una famiglia, e per estensione di una classe
sociale, la borghesia, che il regista francese insiste da tempo a colpire
di fioretto.
Ci vuole una buona dose di raffinatezza per rimanere gelidamente distante
dai personaggi; descriverli ostentando il morbido disprezzo verso unumanità
smarrita nel proprio riprodursi, e, nello stesso tempo, sdoppiare il
proprio sguardo ed interfacciarlo con locchio dello spettatore
a cui delegare lonore e lonere di infatuarsi di volti, gesta
e biografie.
Volti e gesta assolutamente normali, dal fascino dimesso e quotidiano
e quindi così dannatamente adiacenti, prossimi, afferrabili.
Alla fine si rimane elegantemente spiazzati nello scoprire di avere
a che fare con dei perversi assassini, meschini e adulteri, disgustosi
rei confessi che non espieranno mai le loro colpe.
La reazione immediata è quella del buon viso a cattivo gioco;
il ghigno di Chabrol, il suo aplomb demoniaco colpisce di riflesso anche
noi: complici dellordinarietà, ingannati dalle false piste
disseminate lungo il percorso, e soprattutto attratti da quegli esseri
spregevoli.
Si dice che il referente di Chabrol sia Hitchcock e si dice anche che
le sue commedie siano tinte di nero. Ma anche il nero finisce per divenire
una falsa pista, questa volta stilistica, che come fumo negli occhi
distoglie lo sguardo dagli altri colori, subliminali e sgargianti che
illuminano le varie personalità. È stato davvero
fondamentale sapere gli autori dei crimini? È importante scoprire
chi ha scritto quel velenoso volantino di cattivo gusto che sbrodola
cattiverie su Anne (Natalie Baye) e sulla sua corsa elettorale per diventare
sindaco?
Decisamente no. Ad avere la priorità è il sospetto, la
convinzione che sia stato il marito a progettarne linvio. E qualora
scoprissimo che non sia lui lautore, sarebbe ormai troppo tardi.
Ad aver preso il sopravvento sarebbe inevitabilmente il giudizio verso
il personaggio, lunico che, per come Chabrol ce lo ha descritto,
ne potrebbe tenere in serbo la volgare intenzione. Lignobile
volantino è in un certo senso la miccia che innesca lintrigo;
tuttavia, a dire il vero, in questo film non esiste nessun intrigo oppure,
se cè, è ormai completamente diluito nel tempo.
Come conferma con queste sue parole,
Chabrol diluisce il suo sguardo accusatorio con una serie di sub-plot
a loro volta secondari perché la loro funzione intrinseca decade
rispetto a quella subordinata: stratificare ulteriormente i caratteri
e le dinamiche mentali degli individui.
Luniverso borghese dipinto da Chabrol vive sulla reiterazione
allinfinito di se stesso. Una trasmissione nella ripetizione che
mantiene costanti i ruoli e i cognomi e modifica solamente i volti e
i nomi di battesimo.
La dinastia Charpin-Vasseur si autoriproduce reiterando le unioni matrimoniali
intrafamiliari: un regno confinato e segnato in modo macabro
dalla sfortuna e dalle disgrazie cariche di ambiguità.
Lunico che prova ad interrompere il ripetersi degli eventi è
Francois con la sua fuga in America. Al suo ritorno, dopo quattro anni,
tuttavia, egli ritrova la stessa situazione di quando era partito, compreso
lamore della sorellastra con cui, con il placet della regina-zia
Line, si appresta a reinnescare unaltra generazione clonata.
Chabrol non si limita perciò a stingere gli intrighi dopo averli
tracciati con linchiostro simpatico con lintento di far
risaltare i personaggi.
Ne Il fiore del male anche le individualità dei singoli personaggi
sono a loro volta soverchiate dalla loro mansione allinterno della
dinastia nella quale allintercambiabilità dei volti corrisponderà
sempra linalterabilità delle cariche.
La staticità delle funzioni dei personaggi richiama limmobilità
eterna dei luoghi: la casa di famiglia, la casa al mare, la farmacia.
Le persone stesse dunque si attestano come possedimenti patrimoniali
il cui valore principale è quello ereditario e simbolico e su
cui il tempo non potrà infliggere il suo ineluttabile potere.
Il tempo non esiste. Viviamo in un eterno presente., chiosa
la zia Line al termine della sua confessione.
E ancora Chabrol: Il tempo nel film è rappresentato
simbolicamente dalla scala, che è al tempo stesso immobile, presente
ma anche totalmente e perennemente in movimento.
Alla logica stilistica del non-intrigo si associa dunque
il discorso sulla non-estinguibilità di una famiglia
il cui valore centrale ed esclusivo finisce per essere lalbero
genealogico: un assetto strutturale dove ad essere rilevante è
la garanzia del passaggio generazionale che rinforzi e alimenti lo schema
fisso e ne mantenga invariato il moto perpetuo interno.
|