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Italia, 2003 di Mimmo Calopresti, con Mimmo Calopresti,
Francesca Neri, Vincent Perez, Fabrizia Sacchi, Beppe Servillo
Sergio è un brillante architetto. La sua vita è lemblema
del successo. Ha una famiglia felice ed una bella e giovane amante.
E attorniato da tanti amici: sia belli e ricchi come lui, che
lo stimano e lo portano ad esempio, sia di più umili origini,
gli operai del suo cantiere. Nulla sembra turbarlo, quando allimprovviso,
ecco un bel incidente stradale a rompergli le uova del paniere. La sua
corsa si ferma. Rinnega la sua esistenza precedente, patinata ed ipocrita,
abbandona, o meglio, si fa abbandonare da tutti, amici e parenti, pure
dalla fedele Lucia, la donna delle pulizie e, alla disperata ricerca
della felicità vera, si lascia travolgere dalla depressione.
Unico a non lasciarlo, il fantasma di un operaio, morto a causa della
sua disattenzione. Ma quando una notte, per caso, si imbatte in Sara,
una disperata quanto affascinante aspirante suicida, la vita sembra
tornare a sorridergli. Ma la sfiga, si sa, quando si accanisce è
dura da sconfiggere, ed anche Sara scompare. Pur di ritrovarla, Sergio
porta allestremo il processo di volontario auto-annientamento
fino a confondersi con i senza tetto che dormono sugli scalini di un
convento ed aspettano con ansia il pranzo gentilmente offerto dalle
suore. Un secondo incidente arriva però a rimettere a posto le
cose: Sergio viene malmenato dal violento vicino di casa e, dopo una
lunga operazione che riesce a salvargli la vita e durante la quale a
noi viene narrata in flash-back questa lunga e patetica storia, acquista,
grazie allultima apparizione del suo amico fantasma, una consapevolezza
nuova: per essere felici bastano due fette di pane e salame mangiate
in compagnia di chi ti vuole bene. La felicità non costa
niente vuole essere un film di denuncia, scandaloso, per ammissione
dello stesso regista. Ma Calopresti, al suo quarto lungometraggio, ha
voluto strafare ed ha rovinato, dirigendola ed interpretandola, una
sceneggiatura, scritta sempre da lui con Francesco Bruni e Heidrun Schleef,
che aveva indubbiamente del buon potenziale. Vediamo un po perché.
Calopresti si riallaccia, da un lato, al titolo del suo film precedente,
Preferisco il rumore del mare (1999), ripreso da una poesia di
Dino Campana Fabbricare, fabbricare, fabbricare/ preferisco
il rumore del mare/ che dice fabbricare, fare e disfare
.
e, dallaltra, ai suoi primi lavori documentari sulla Fiat. Larchitetto
Sergio si rende conto, giunto ai suoi brillanti 40 anni, di aver perso
troppo tempo a fabbricare case e successo, scopre letica del fare
e disfare introspettivo. Disfando la sua persona, cercando del buono
al suo interno, facendo il vuoto intorno a sé, cerca di comprendere
il senso della vita, di raggiungere la felicità. Quella felicità
fatta di cose semplici, genuine, insegnategli dai suoi amici operai,
in realtà non quelli romani dei suoi cantieri edili, ma quelli
torinesi della Fiat. Sulla contrapposizione dilemmi dei ricchi/ problemi
dei poveri viene costruito tutto il film, che trova la sua risoluzione
proprio grazie al defunto operaio Gianni, maestro di vita. Gli ipocriti
ricchi si scontrano con i buoni poveri, che sono talmente buoni da scomodarsi
pure dallaldilà per venire in soccorso a chi addirittura
è stata causa della loro morte. Non solo, sono così fieri
e magnanimi da non volere in alcun modo venire aiutati da Sergio che,
quando si presenta casa della famiglia di Gianni per sapere se ha bisogno
di aiuto, in realtà nello strenuo tentativo di ripulirsi la coscienza
sporca, si vede chiudere la porta in faccia.
In sostanza, lui è un arrampicatore sociale pentito e un po
sfigato, perciò di riflesso simpatico, attorniato da operai intelligenti
e un po filosofi, che facilmente possono entrare nelle grazie
del pubblico. Perché, allora, ci risultano tutti così
fastidiosi ed antipatici? Forse perché Sergio esagera un pochino
e si mette a pontificare circa lipocrisia di una certa società
nel bel mezzo di una festa di amici che, fino al giorno prima, gli andavano
bene esattamente così comerano? Forse perché di
fronte al suo insanabile dilemma, lo spettatore comune è portato
a pensare che farebbe volentieri a cambio con lui, cedendogli le rate
del mutuo da pagare in cambio di un po di sano conflitto interiore?
Forse perché alcune battute risuonano troppo simili alle massime
dei Baci Perugina (memorabile la Neri, che rotolandosi sulla sabbia
sospira Io non voglio possedere più niente, mi bastate tu e il
mare)?
Ritengo sia questo il vero problema del film, oltre ad una regia frammentaria
ed allinterpretazione monocorde di Calopresti che, nonostante
i suoi dilemmi, non ha nemmeno per un secondo lo sguardo turbato, ma
solo la faccia imbronciata: tutti gli elementi sono portati allo stremo,
troppo perché ci possa credere veramente.
Da non dimenticare due chicche, che da sole, purtroppo, non bastano
a salvare lintera pellicola: lottima interpretazione di
Peppe Servillo, il cantante degli Avion Travel, che al film regalano
anche il motivo Piccolo tormento, ed il divertente cammeo di Laura Betti
nei panni di una buffa suora.
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