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Italia, 2005
di Alessandro DAlatri, con Fabio Volo, Valeria
Solarino, Thomas Trabacchi, Gisella Burinato, Massimo Baggiani, Cochi
Ponzoni, Arnoldo Foà
Due motti fanno grande il nostro paese: lItalia
è patria di artisti, navigatori e santi e tutti i salmi
finiscono in gloria, entrambi perfetti sottotitoli per il film
in questione.
Nelluniverso auto-referenziale de La febbre,
ogni pezzo del puzzle alla fine trova il proprio posto in un quadro
stucchevole e inamovibile.
Frank Capra avrebbe approvato: Fabio Volo come James Stewart cade nellabisso
ma si salva e con se stesso riporta alla luce il piccolo mondo
antico.
Come in una tragicommedia in cinque atti, abbiamo unintroduzione
dei personaggi e dellambiente che ha una durata interminabile;
quindi lidillio amoroso che naturalmente travolge il protagonista
e la bella del reame; seguono: la ribellione, labiezione
- con inevitabile sbronza sotto una pioggia scrosciante e il grido delluomo
solo di fronte agli elementi - e la vittoria finale nella quale tutti
i personaggi trovano la loro giusta collocazione - condannati in eterno
o eternamente salvati dal nostro impavido eroe, con contorno di rustico
restaurato e donna incinta a completare lidillio bucolico del
ritorno a una vita più naturale, condito dal messaggio ecologista
che si può creare arte recuperando la spazzatura.
Il buonismo di certa sinistra italiana si compiacerà
nel vedere ritratta litalietta della corruttela dei piccoli burocrati
nostrani. Certamente nessun rimando ai grandi giri daffari degli
scandali Elf o di Tangentopoli ma, nel periodo in cui si deve rinnovare
il contratto a milioni di statali, ecco il film sugli abusi meschini
della burocrazia di un comune di provincia contro i cittadini ignari,
e del superiore-burocrate contro il giovane intraprendente don Chisciotte
che cerca di cambiare le istituzioni dallinterno.
Potrei continuare su questo tono per pagine intere, ma risparmierò
il lettore e me stessa dallindagare più a fondo il senso
ultimo di questo filmetto carino, girato da un regista che ha appreso
tutti i rudimenti dellarte sua (tranne commettere alcuni errori
di montaggio davvero imperdonabili), e nel quale, dopo i primi venti
minuti in cui sembra che lo schiaccianoci sia solo capace
di vagare sul grande schermo, si può persino apprezzare la recitazione
di un non-attore che parla come se fosse nel proprio salotto, invece
che davanti a una macchina da presa.
Dal film si apprende - quasi si avesse bisogno di tale dimostrazione
- che lItalia è il paese in cui si fa carriera o si è
assunti solamente grazie a raccomandazioni e bustarelle, in cui le amministrazioni
vessano la popolazione salvo evitare di farlo in periodo elettorale,
il Presidente della Repubblica ha una specie di mania per i partigiani
conosciuti in epoca di guerra, le pratiche sono approvate solamente
se si olia la persona giusta nel posto giusto e dopo quarantanni
di onorato servizio, andando in pensione, si muore di attacco cardiaco
per la felicità dellINPS - spot involontario
per il super-bonus di chi decide di rimanere al lavoro anche dopo avere
maturato il diritto alla pensione.
Il neo-realismo ci ha lasciato una lezione poetica nel più alto
senso della parola, perché ha modificato contenuto e forma, realizzando
film dove il mondo ovattato di Hollywood cedeva il posto alla realtà
del quotidiano, e la tecnica cinematografica scopriva la sfilacciatura,
il non-detto, lirrisolto, rifiutando la logica Hitchcockiana che
se si mostra una forbice, prima o poi qualcuno dovrà usarla.
Ora invece la commedia italiana dolce-amara ripropone il mondo perfetto
dove, nonostante tutte le avversità, alla fine il bene trionfa
sempre e lo fa in modo assoluto.
Sui titoli di coda, quando la voce off di Arnoldo Foà
ribadisce che lItalia è un bel paese, la melassa
raggiunge un tasso insopportabile e il rischio diabetico si fa pericoloso.
La febbre è consigliato solamente a ipo-glicemici
gravi.
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