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Id.,
Usa/Norvegia, 2005
di Bent Hamer, con Matt Dillon, Lili Taylor, Marisa
Tomei, Didier Flamand, Karen Young
Ed ecco il film che non taspetti, soprattutto quando sai dellopera
da cui è tratto.
Pensando a Bukowski e al suo alter ego letterario Henry Chinaski ti
immagini subito una trasposizione cinematografica che metta in luce
il lato maledetto dellessere uno scrittore, e cioè
essere anche un loser ai margini della società perbenista,
un perdigiorno ed un ubriacone ai limiti del possibile. E quale tipo
di messa in scena ci si immagina più confacente ad un tale, splendido
personaggio? Ma ovviamente quello più virtuosistico, se si preferisce
istrionico, che in un certo qual modo si adegui allurgenza, allo
strabordare di senso della materia trattata.
Ebbene, dopo aver visto questo coinvolgente Factotum
cambierete idea: il cinquantenne norvegese Bent Hamer, già autore
dellinteressante Kitchen Stories, realizza unopera
di sobrietà quasi assoluta, adoperando come cifra stilistica
portante del lungometraggio linquadratura fissa: grazie ad un
enorme lavoro di movimento interno alla stessa, il regista ha costruito
una serie di piccoli, semplicissimi momenti di assurda quotidianità,
dove lo humour irresistibile dei dialoghi e delle situazioni viene in
qualche modo estrinsecato proprio dalla semplicità delluniverso
filmico in questione: nella parte centrale di Factotum
assistiamo ad esempio ad uno splendido piano-sequenza con macchina da
presa (quasi) fissa che esplicita con folgorante linearità questidea
di cinema, e la rende davvero preziosa.
Il resto della bellezza e dellimportanza del film ce lo mette,
ovviamente, Charles Bukowski ed il lavoro di trasposizione del suo capolavoro
letterario. La lucidità della sceneggiatura sta nel lasciare
che il nucleo primario, il senso ultimo (o meglio, primo) dellopera
dello scrittore traspaia dietro limmagine filmica, in quel fondamentale
territorio dombra che è il suggerire invece del raccontare.
LHenry Chinaski di Factotum non è un ribelle,
né un maledetto: è un uomo qualunque, che
ha scelto di annullarsi - non di immolarsi, sia ben chiaro - alla ricerca
dellispirazione artistica. Lalcool e la marginalità
non sono dei mali necessari per arrivare allo scopo ultimo dello scrivere,
ma una scelta coerente e vissuta con equilibrio verso quellobiettivo:
tutto il resto è conseguenza di un atteggiamento mai disincantato
verso lesistenza, invece sempre pulsante e vitale, anche se orientato
in una diversa direzione. Sotto questo punto di vista, il film porta
a compimento la storia con una sorprendente logicità, arrivando
ad un finale tanto preciso quanto commovente.
A dare anima, corpo e soprattutto sorriso a Chinaski un Matt Dillon
di perfetta adesione col personaggio, capace di uninterpretazione
mai gigiona ed al contrario sempre sussurrata, quasi delicata. Accanto
a lui, il ritorno mai troppo auspicato della grande Lili Taylor, che
forse in qualche momento tende a strafare, ma che possiede sempre e
comunque una tale carica denergia che alla fine le permettono
di farsi perdonare tutto.
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