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id., Belgio, 2005
di Jean-Pierre e Luc Dardenne, con Jérémie
Renier, Fabrizio Rongione, Olivier Gourmet
Una Palma dOro asciutta, persino abrasiva, quella del 2005, consegnata
di merito alla coppia dei fratelli Dardenne per un film che ha saputo
imporsi al netto di qualsiasi abbellimento o concessione al grande pubblico.
LEnfant esplode sullo schermo in silenzio, come
il suo finale senza alcun commento sonoro (peraltro assente per tutta
la durata del lungometraggio), nemmeno quando scorrono i titoli di coda.
Unesplosione minima, fatta di echi che la regia orchestra in maniera
da risuonare dopo, a luci accese in sala, un po come succederebbe
in un racconto di Carver: i sottintesi, le domande, i tentativi di delineare
un possibile futuro per i personaggi che si sono affannati fino ad un
istante prima sullo schermo: è tutto lavoro che i Dardenne lasciano
allo spettatore, una volta che la storia nella sua tragicità
gli è stata consegnata tra le mani.
Tre individui si agitano alla periferia di una città belga senza
identità, e conducono le loro vite in questa zona liminale, che
non è altro se non il corrispondente architettonico e urbanistico
del cosmo morale in cui si trovano, di volta in volta, a prendere le
loro decisioni. Locchio-sonda della macchina da presa fluttua
senza alcun rumore, senza imporsi come tentativo di ricostruzione dellesperienza,
aspettando semplicemente che la giovane coppia faccia le proprie mosse
a partire da un nuovo dato: un figlio.
Sonia, piccola più che giovane, agita da un irriflesso e totalizzante
istinto di maternità, Bruno, la cui visione del mondo appare
completamente inscritta allinterno di ununica istanza: tradurre
in denaro qualsiasi cosa, anche e soprattutto ciò che non gli
appartiene. E Jimmy, lenfant, appunto, il neonato. Queste le tre
figure, che sembrano compiere le proprie azioni allinsegna della
passività, rispondendo ad esigenze appartenenti a categorie che
non tardano a rivelarsi come inconciliabili, incongruenti. Dare affetto
e prendersi cura, da una parte, sopravvivere senza entrare nel meccanismo
produttivo della società dallaltra; in mezzo il puro, essenziale
vivere rappresentato dal piccolo Jimmy.
Ciò che rende il meccanismo narrativo interessante e funzionante
è che il paesaggio nel quale questi tre tipi umani muovono i
loro passi è dipinto come moralmente indefinito, una tabula rasa,
un foglio bianco in cui nessun punto di riferimento è dato come
saldo e affidabile. La distanza dal centro (della città, della
società, della civiltà) è avvertita prima di tutto
come una distanza etica; i registi ci lasciano per unora e mezzo
da soli ad osservare questi tre astronauti in caduta libera, spinti
da una forza dinerzia che solo apparentemente è quella
delle loro scelte. In realtà, e qui si percepisce la marcatura
politica del film, tutti e tre sono mossi da pulsioni che sovraesistono
al loro possibile imporsi sulla realtà come individui: maternità,
avidità, sopravvivenza. Non ci sono scelte. Dovè
lindividuo? I Dardenne sembrano cercarlo senza trovarlo, e la
macchina da presa è una lanterna di Diogene in mezzo alle strade,
ai dormitori, nellacqua di un canale, in un garage in penombra.
Non vediamo altro che attori, o meglio marionette, né basta la
presenza di una nascita per innescare laffermazione di una scelta,
di un dover essere in mezzo ad un deserto di circostanze, di pura struttura.
Anzi, lenfant del titolo è sì innesco,
ma per il processo che porterà alla distruzione della coppia,
che fino ad un certo punto della storia viveva grazie alla cogenza del
proprio animalesco percepirsi, luno addosso allaltra, entusiasticamente
e irresponsabilmente.
Il bambino segna il punto di divergenza: per Sonia è qualcosa
da accudire, è un catalizzatore biologico come biologico è
il carattere del suo affetto, della sua premura; per Bruno, randagio
per scelta (?), borseggiatore per vocazione, è qualcosa da tradurre
immediatamente in valore pecuniario. La crisi irrompe sui due giovani,
che si ritrovano comunque persi nel loro assecondare i propri rispettivi
istinti; semplicemente distanti. Nessuno dei due assimila e trasforma
la distruzione della coppia in un evento dotato di senso, nessuno dei
due coglie loccasione per un salto in avanti. Sembra un film senza
via di scampo, un paesaggio de-moralizzato in cui non si riesce a trovare
alcuna entità etica, alcuna coscienza.
Poi arriva il vero Enfant, laltro, il piccolo ladro.
Accade qualcosa, i meccanismi non sono rivelati per intero, che sia
lo spettatore a ricostruirli, a capire cosa e perché; sta di
fatto che Bruno, improvvisamente, si impone sul quadro di desolazione
devastante che lui stesso così bene aveva contribuito a tratteggiare.
Si costituisce alle forze dellordine, e non è un caso che
il primo affermarsi del protagonista come persona sia attraverso lassunzione
di una colpa: è probabilmente, sembrano asserire dalla regia,
la prima possibilità che un essere umano ha di pensarsi come
agente responsabile di una propria azione. Aspettiamo ansiosi per unora
abbondante il compiersi di questa prima, pura Azione da parte delluomo,
e alla fine arriva, esplode silenziosa, minima, inaspettata, difficile
da digerire. Perché non è a tutela del figlio che Bruno
si (com)muove: Jean-Luc e Pierre Dardenne si espongono quel tanto che
basta per delineare la possibilità che non siano i legami familiari,
neppure quelli di sangue, a promuovere drammaticamente la nascita di
una persona come individuo morale. Può essere anche uno sconosciuto,
un compagno di scippi, può anche essere un Nessuno. Lo squarcio
di luce arriva da profondità e direzioni inattese, stravolge
la fisionomia delluomo che piange di fronte alla sua donna che
lo vede, forse per la prima volta, al di fuori di uno schematico paradigma
familiare. Anche lei piange, e quando i due si ritrovano, nella sala
colloqui della prigione, il bambino non cè. Il figlio non
è mai stato altro se non occasione, causa efficiente. La crescita
esistenziale dei due vagabondi non avviene entro un orizzonte affettivo
specificamente familiare, e questo sembra un dato assolutamente interessante,
oltre che una scelta poetica coraggiosa, considerando la cornice testuale
che presenta il film come una storia narrata dentro una
famiglia.
Il cinema dei Dardenne si rivela questo: un teatro sociale la cui forza
e maturità è del tutto compiuta laddove, come anche in
questopera succede, una nicchia formale di indiscutibile forza
ed efficacia si riempie di una narrazione lucida, fredda, scevra da
qualsiasi modello etico tradizionale, eppure straordinariamente morale.
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