Elephant,
Usa, 2003
di Gus Van Sant, con Matt Malloy, Timothy Bottoms
e attori non professionisti.
- Ho appena finito la lezione di educazione fisica. Mi cambio nello
spogliatoio femminile, senza parlare con nessuna delle mie presunte
compagne di scuola. Di fretta e furia vado in biblioteca, dove mi aspetta
il nuovo turno come assistente. Inizio a sistemare un carrello di libri
nella sezione di saggistica. Entra uno studente che devo aver visto
in giro, ma che non conosco quasi, a cui non ho mai pensato. Sembra
vestito come un marine, e imbraccia un mitragliatore. Mi spara. Muoio
sul colpo.
- Ho passato la mattinata a fare fotografie nel parco, perché
devo finire il mio portfolio, stampare il rullino e scegliere i migliori
scatti da presentare. Arrivo a scuola, e vado subito nel laboratorio
di sviluppo a lavorare. Finito di sviluppare, scelgo una foto che ho
fatto proprio poche ore fa ad una coppia di punk che ho incontrato questa
mattina a due passi da scuola. Vado in biblioteca per esporla. Entra
un ragazzo che mi lascia indifferente. Uccide una ragazza di fronte
a me, poi mi spara. Muoio sul colpo.
- Come ogni giorno, ci avviamo verso mensa svogliate e civettuole, con
i nostri abiti firmati e la nostra aria un po snob. Chiacchieriamo
del più e del meno, come al solito, e come al solito di ragazzi.
Finito di piluccare la solita insalatina, ci allontaniamo dalla moltitudine
di ragazzi intorno a noi, a cui non dedichiamo la minima attenzione.
Ci dirigiamo ciarlando fino al bagno delle donne, dove vomitiamo quello
che abbiamo appena ingerito. Entra un ragazzo, ci sorride e ci spara.
Moriamo sul colpo.
- Vado a scuola con il mio compagno di sempre. Entriamo, nessuno ci
nota o quasi. Ci fermiamo nellatrio per qualche secondo, prima
di iniziare il nostro giro: la prima tappa è la biblioteca. Entro,
ci sono alcuni studenti, iniziamo a sparargli. Qualcuno cade, altri
riescono a scappare. Io e il mio amico ci dividiamo. Giro per le stanze
e i corridoi, sparo a chi mi capita sotto tiro. Dopo qualche minuto
ci rivediamo in sala mensa, il mio amico sta parlando di non so cosa,
sparo pure a lui. Poi sento dei rumori, mi guardo in giro finché
non trovo una coppietta che si era nascosta nella stanza frigorifera.
Gli punto il mitragliatore addosso, loro mi implorano di risparmiarli.
Inizio a canticchiare una cantilena mentre prendo bene la mira
Elephant non racconta. Non ha nulla da raccontare,
e soprattutto non vuole farlo. La narrazione drammatica, a differenza
di quella filmica, si annulla, sceglie di non essere drammatica, ma
soltanto di mostrare. Elephant dispone nello spazio
i corpi di vittime e carnefici. Incrocia piani temporali, delinea percorsi
in mezzo al nulla: gli ambienti sono neutri ed assolutamente asettici,
gli esseri umani sembrano automi deboli ed estraniati. La visione che
Van Sant ci propone è un inferno gelido, rarefatto ed impersonale,
in cui lassenza di calore umano e di sentimenti viene accentuata
proprio dalla presenza ossessiva di giovani, di corpi e menti che dovrebbero
essere vivi ed invece non lo sono. Per mostrare allo spettatore
questa mancanza, questo vuoto, il regista sceglie un discorso estetico
precisissimo e fortemente espressivo, al punto di risultare in alcuni
momenti addirittura manieristico. La macchina da presa non si nasconde,
anzi incornicia lassenza di tutto il resto in interminabili ed
estenuanti steadycam, che seguono ragazzi e percorsi senza meta. Queste
persone vagano senza uno scopo preciso (o comunque forte),
si incrociano e si trovano senza motivo; alla fine muoiono sempre senza
motivo, e sembra che davvero non potrebbe essere altrimenti. Chi cadrà
sotto i proiettili e chi sparerà viene posto esattamente sullo
stesso piano, o meglio viene immerso nella stessa dimensione livida
di un non-universo giovanile, vuoto ed immotivabile. Gli infiniti piano-sequenza
che compongono il film danno sul serio la sensazione dellincedere
lento ed ineluttabile di un elefante, un pachiderma ottuso che annienta
la ragione ed il sentimento umano. Opera distaccata, gelida, disturbante,
questultimo lungometraggio di Van Sant (girato originariamente
per la televisione HBO) spiazza lo spettatore per il fatto di trovare,
grazie ad uno specifico cinematografico lucido e coerente come poche
altre volte nei film del cineasta, un colpevole che non ha la forma
ed il volto di un essere umano. In Elephant è
davvero il sistema di valori in cui levento si trova ad accadere
che viene messo sotto accusa; e non attraverso larringa moralistica
di una sceneggiatura a tema, ma grazie ad una messa in scena che rende
in tutto e per tutto il senso di vacuità in cui la gioventù
americana versa. Non ci troviamo di fronte ad una pellicola partecipe
e dolorosa, come ci saremmo facilmente aspettati, ma ad un tentativo
di documentazione asettico e allo stesso tempo fortemente penetrante:
non la storia di una tragedia, ma la rappresentazione di un mondo in
cui regna il caos della mente. Quello che accade viene rappresentato
in maniera del tutto naturalistica, normale, perché è
normale che in simili condizioni esistenziali regni il disordine, lirrazionalità,
lorrore. La grossa coerenza interna, la spiazzante specificità
di Elephant è che questo stato non viene reso
da parole, sguardi, musica o altro, ma soltanto dalla macchina da presa:
la dilatazione/desolazione amorale che avvolge il film è totalmente
data proprio dal film stesso, dal suo essere costruito in quel modo
e solo in quel modo. Non vi sono cambi di ritmo, scene di pathos, immagini
di violenza e morte: cè soltanto il lento, inarrestabile
incedere del vuoto, che cattura ogni personaggio e lo trascina con sé.
Il motivo fondante di Elephant è dunque la scelta
estetica del suo concepimento: Gus Van Sant costruisce uno scheletro
rigorosissimo ed elegante, che trasforma in cinema di alto contenuto
visivo unassenza concettuale e morale che inquieta, intimidisce,
e può lasciare incredulo e insoddisfatto lo spettatore. Nella
pellicola non cè messaggio morale, non cè
volontà di insegnamento, non cè intento educativo
o monito di alcun tipo. Lopera è una cornice, un pacco
regalo in cui dentro regna il nulla. Ed è probabilmente questa
la visione più spaventosa che il regista e la sua opera potevano
offrirci.
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Il quotidiano di una
scuola modello, quotidiano girato colla visuale soggettiva in piano
sequenza di un videogioco. Visuale che comprende la nuca dellelefante
compresso nel corpo quotidiano dellistituzione modello, visuale
che attraversa i livelli fino a caricare mirare PUM passante a gambe
allaria.
Il quotidiano è formato da quadri che si rincorrono collegati
da corridoi, il quotidiano è come quando càpiti nella
stessa zona e trovi animazioni a fare e dire le stesse cose colle stesse
facce anche se ci giri intorno. Brandelli di informazioni insensate,
le stesse di ogni giorno.
Anche se sali di livello.
Anche se voli come una Colomba.
La normalità dei ragazzi, le passioni, il genio, vaffanculo Elisa,
langelo, lamicizia e lorrore scalpitante nel bagno
per vomitare per raccontarsi come le più belle della scuola,
lamore e la dolcezza prima di accendere il display della mattanza.
Langelo obiettivo.
Langelo biondo col padre sbronzo.
Langelo nero impassibile che aiuta una vita a vivere e poi segue,
come telecomandato, il rumore fino a diventare obiettivo freddamente
centrato.
La ragazza biblioteca topo di se stessa rosicchiata dalla sua stessa
brutta faccia.
La coppia belloccia nascosta in fondo allultimo quadro dellultimo
livello insieme ai corpi già macellati dei vitelli di Columbine.
La libertà americana di acquistare che entra scortata dal postino.
Ragazzi cè un pacco per voi, non siete andati a scuola
eh? Beati voi. Sì ma poi a scuola ci andiamo eccome. Ci andiamo
a trasformare la nostra realtà coi corridoi che sinseguono
da un quadro allaltro, ci andiamo a sparare alle animazioni iperrealistiche
dei passanti, a metterli a gambe allaria, ci andiamo a fare un
casino. Ci andiamo a terminarlo il gioco che si nasconde nel quadro
quotidiano.
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