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Scarlett Johansson, nei panni di
Annie, si presenta come una ragazza ingenua e sognatrice, piena di ideali
e, fresca di laurea, pronta ad entrare nel mondo del lavoro, proprio
come vuole anche la sua mamma che prevede per la figlia una carriera
brillante e ricca di soddisfazioni anche dal punto di vista economico.
A volte, però, il destino ha dei progetti ben diversi con i quali
bisogna misurarsi e fare i conti. È così che Annie, dopo
essere andata in tilt per una domanda apparentemente banale - "Dimmi:
chi è Annie?" - durante quello che doveva essere il
colloquio più importante della sua vita, scappa via in preda
ad una forte crisi. Si ritrova così, sola e pensierosa, su una
panchina al parco, meditando sul suo futuro e sulla propria vita. È
qui che il destino - o meglio, un bambino di nome Grayer - le viene
incontro, anzi, è proprio lei ad afferrarlo e a restituirlo alle
cure della mamma. Il misunderstanding è immediato: durante le
presentazioni - in questo caso vedere il film in lingua originale è
indispensabile perché permette di cogliere tutte le sfumature
dei dialoghi e i giochi di parole - la signora capisce non il nome di
Annie, ma la sua professione. In un minuto, Annie-the-Nanny si trova
sommersa da numerose offerte di lavoro: sembra che tutte le famiglie
benestanti di New York abbiano bisogno di una tata per i loro figli.
Annie, che cerca una sua collocazione nel mondo, una sua strada da seguire,
dopo aver parlato con diverse mamme, alla fine accetta di lavorare per
la prima che aveva conosciuto al parco.
Il film si presenta come una vera e propria indagine antropologica,
uno studio analitico con tanto di fermi-fotogramma per inquadrare i
vari tipi umani e trasformarli, seguendo lottica della protagonista,
in casi degni di essere studiati e, quindi, in immagini esposte al Museo
di Storia Naturale, il luogo preferito del personaggio interpretato
dalla Johansson. I suoi datori di lavoro saranno quindi chiamati gli
X: fino alla fine, infatti, non riusciremo a scoprire il
nome della mamma del piccolo Grayer; per quanto riguarda il padre, invece,
la regia allinizio si diverte a occultarne il volto per dar spazio
alla fantasia dello spettatore. La commedia è dolce e piacevole,
con alcuni cliché che non risultano noiosi, ma che anzi vengono
avvertiti come un rimando a quello che è un classico per eccellenza:
Mary Poppins. È alquanto evidente lomaggio
reso alla celebre tata quando linsegna a forma di ombrello posta
davanti ad un edificio si stacca e offre ad Annie un comodo passaggio
per i cieli di Manhattan, passaggio che la ragazza accetta più
che volentieri nonostante qualcuno, dal basso, le consigli di restare
con i piedi a terra
Da non dimenticare è, inoltre, la battuta
che la tata rivolge al bambino quando le dice che conosce la parola
più lunga del mondo: Annie controbatte dicendo di saperne unaltra
"supercalifragilistichespiralidoso"!
La storia, che non brilla di originalità, viene però sostenuta
da alcune scelte registiche delicate che la innalzano di tono: oltre
ai già citati fermo-immagine, si alternano riprese realiste
alle proiezioni della mente e dei pensieri della protagonista; ogni
tanto, infatti, la sua voce off si rivolge direttamente al pubblico
che assiste alla messa in scena di quello che diventa il suo diario
di campo per la scuola di specializzazione.
Il lieto fine è scontato, ma anche il sorriso dello spettatore.
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